Narrativa straniera e Frontiere

La parola torna al corpo

A—C
Leonetta Bentivoglio 14 Marzo 2018 21 min

La scrittura: una ricerca instancabile, una rinuncia impossibile. Arlene Heyman e il percorso eccezionale che l'ha portata a Il buon vecchio sesso fa paura. Da Malamud a Roth, dall'analisi a #MeToo, la psicoanalista e scrittrice si racconta a Leonetta Bentivoglio. Senza censura.

Signora Heyman, lei ha scritto queste storie nell’arco di alcuni decenni e la sua relazione con la scrittura non ha mai conosciuto interruzioni, fin da quando terminò gli studi. Cosa ha significato per lei scrivere in tutti questi anni senz’essere pubblicata? C’è un motivo per cui ha deciso di pubblicare questi racconti solo oggi?

È vero che Il buon vecchio sesso fa paura è il primo libro che pubblico, e che scrivo da parecchi decenni. Ma è anche vero che ho sempre cercato di farmi pubblicare. Ho cercato instancabilmente. Non posso dire di essere stata frustrata, perché all’inizio ho avuto un incredibile successo: due miei racconti sono usciti quando avevo meno di trent’anni sul n°1 e sul n°5 della New American Review, forse la più prestigiosa rivista letteraria di tutti i tempi – due estratti del Lamento di Portnoy di Philip Roth vennero pubblicati inizialmente sulle sue pagine e vi sono comparsi regolarmente scritti di Ralph Ellison, Gabriel García Márquez, Grace Paley, Susan Sontag e altri autori dello stesso calibro. Più tardi, nel 1991, con «Artefatti» (racconto ora incluso nel libro, in una versione parzialmente modificata), ho vinto il primo premio in un concorso letterario bandito dalla rivista «Epoch». Nel frattempo alcuni mitici agenti letterari mi hanno sostenuta facendo circolare il mio lavoro: Candida Donadio (all’epoca agente di Roth) e più tardi Robert Lescher (che aveva lavorato con Alice B. Toklas e rappresentava Isaac Bashevis Singer). Poi Bernard Malamud ha letto ogni mia pagina, fino al 1986, anno in cui è morto. E lui credeva molto in me come scrittrice.  Aggiungo che, nel bene e nel male, ho un’ineguagliabile capacità di considerarmi una discepola. Nella mia pratica di psicoterapeuta e psicoanalista, se non sono soddisfatta di come va il lavoro con un paziente mi rivolgo a qualcuno che ritengo ne sappia più di me e pago per una serie di consulti. Di recente mi è successo di rivolgermi a persone più giovani, per esempio a due professioniste più preparate di me su alcuni tipi di pazienti.
Con la scrittura è lo stesso: dopo la morte di Bernard Malamud mi sono unita a gruppi di scrittura, ho seguito corsi e ho chiesto, a pagamento, il parere di un editor. Durante un corso al centro culturale 92nd Street Y ho conosciuto Sandra Newman, scrittrice e editor. Lei insegnava e io ero la sua studentessa più anziana. È stata lei a intervenire come editor su alcuni dei racconti de Il buon vecchio sesso fa paura e a darmi consigli sull’intero libro. Ed è stata lei a presentarmi alla sua agente inglese, Victoria Hobbs, la quale ha deciso che «non poteva non provare a vendere il libro». Benché in Inghilterra ci sia scarso interesse per le raccolte di racconti, in un solo mese è riuscita ad avere tre offerte da tre diverse case editrici.
Io comunque ho continuato a scrivere, malgrado lunghi periodi di scarso successo, e nel frattempo ho concluso gli studi, cosa di per sé gratificante, e ho avuto mariti e figli. Per tutta la vita ho desiderato essere una scrittrice. E non si rinuncia facilmente a qualcosa che si è desiderato per l’intera vita. Eppure, quando nel 2015 il mio libro è stato finalmente accettato, il mio primogenito Jacob mi ha chiesto: «Ma come hai fatto a tener duro così a lungo?». E alla mia risposta, «Ho una capacità di resistenza infinita», ha replicato: «Mamma, nessuno ha una simile resistenza».

Lei è una psicoterapeuta. Questo lavoro l’aiuta ad andare più a fondo nel suo rapporto con la scrittura? Quanto ha dato la psicoanalisi alla scrittura e viceversa? È freudiana? Vede ancora molti pazienti? E quanto c’è di suo e dei suoi pazienti, in questa raccolta di storie?

Sono una freudiana, se con ciò intende qualcuno che crede in un inconscio che, a nostra insaputa, governa ciò che facciamo; se intende che, analizzando il transfert (vale a dire la relazione sempre mutevole tra paziente e psicoterapeuta), si portano alla luce aspetti della relazione originaria tra paziente, genitori, sorelle e fratelli, arrivando a capire e ad attenuare tanto le difficoltà di relazione quanto i sintomi; se con freudiana s’intende una persona che attribuisce un significato ai sogni, nonché ai lapsus linguistici, e ritiene che siamo tutti fatti della stessa stoffa, e che con tempo e pazienza possiamo essere compresi. Freud è stato uno dei massimi geni che il mondo abbia avuto, ma aveva alcuni limiti reali. Nessun terapeuta intelligente del XXI secolo può pensare che la sua visione delle donne fosse corretta – e la coscienza delle donne, per esempio, è rigorosa quanto quella degli uomini. Melanie Klein ci ha insegnato che i piccoli maschi invidiano le femmine quanto le femmine invidiano i piccoli maschi; Margaret Mahler ha esplorato lo sviluppo infantile fino ai tre anni, ovvero quei tre anni decisivi sui quali Freud ammetteva di non sapere nulla.
Sì, ho tuttora molti pazienti, forse più di quanti io ne abbia mai avuti nel resto della mia vita, anche se nei miei racconti non ho utilizzato nulla di ciò che i pazienti mi hanno riferito. Sarebbe immorale, se non negligente.
Mi chiede quanto di autobiografico ci sia nel mio lavoro. Non so se voglio o posso rispondere. Come analista, ho bisogno di proteggere la mia privacy. Come scrittrice, ho bisogno di salvaguardare la mia creatività. Ma credo di poter dire che nessuno scrive niente, neppure una tesi di dottorato, dove non ci sia qualche motivazione autobiografica. E ho sentito almeno un insegnante di scrittura raccomandare di essere cauti, quando si critica il lavoro di un collega, perché è il sé dell’altro, il cuore dell’altro, ciò che si sta criticando. D’altronde diari e pettegolezzi non sono opere artistiche – i diari sono piatti e mancano di sintesi e di cesellamento. Il brivido della letteratura, dell’immaginazione sintetica, è qualcosa di completamente diverso.

Può parlare della sua relazione giovanile con Bernard Malamud, descritto in uno dei suoi racconti? Quanto è stato importante per lei quest’incontro, da un punto vista creativo? Come l’ha segnata quest’amore, nel bene e nel male?

Come posso riassumere in poche frasi quello che è stato il mio rapporto con Bernard Malamud? È stato uno degli incontri più importanti della mia vita, sia sul piano creativo che su quello umano. Conoscerlo intimamente è stato un grande privilegio, che mi ha modellata. Nella biografia di Philip Davis, Bernard Malamud: A Writer’s Life, vari capitoli sono dedicati alla nostra relazione; non ho raccontato la verità nei minimi dettagli, ma a Davis ho detto più di quanto io abbia mai detto a chiunque altro. Alcuni dialoghi del mio racconto «L’amore con Murray» sono tratti da lettere o cartoline ricevute da Bern, e che ho condiviso con Davis. Tuttavia il Murray del mio racconto non è Bernard Malamud e io non ho mai avuto una particolare somiglianza con il personaggio di Leda. «L’amore con Murray» è un’opera di finzione. Non so se lo straordinario libro di Davis sia stato tradotto in italiano ma dovrebbe, perché Bern amava l’Italia. Sua moglie aveva origini italiane, lui aveva vissuto a Roma per un certo periodo e aveva passato un anno nella residenza per artisti di Bellagio; l’Italia torna continuamente nelle sue opere, e un romanzo, Ritratti di Fidelman [Minimum Fax 2010 (La Venere di Urbino, Einaudi 1973)], si svolge interamente in Italia. Aveva imparato l’italiano, anche se non aveva un buon accento.

Il modo in cui lei descrive la sessualità, il desiderio e il rapporto con il proprio corpo nella terza e quarta età è diretto e originale. Fino a poco tempo fa si censurava quest’aspetto della vita, specialmente per le donne. Come se la relazione con la propria attività sessuale e il desiderio dovessero cessare con la fine dell’età fertile. Adesso invece il sesso tra persone anziane è stato legittimato, e il suo libro può rappresentare un riferimento in tal senso. Ritiene che gli adulti facciano più sesso di un tempo? O forse si è sempre fatto l’amore, ma prima nessuno ne parlava come accade oggi? Siamo diventati meno pudici? Sono cadute le censure?

No, la censura non è mai venuta meno, e non accadrà mai. All’età di cinque o sei anni, un veto interiore ci proibisce di riconoscere nostra madre e nostro padre come creature sessuali. Perché altrimenti continueremmo a desiderarli sessualmente. Nell’adolescenza, quando si ha bisogno di staccarsi dai genitori per poter amare i propri coetanei, i genitori cominciano ad apparire imbarazzanti, disgustosi e stupidi. Qualcosa di tutto ciò resta. E per le donne è peggio perché i loro figli – maschi – governano il mondo. Si deve a tutto ciò se la sessualità degli uomini anziani non è stata negata quanto quella delle donne anziane. Io credo semplicemente che il mondo sia un po’ cambiato, e in meglio: c’è stato il femminismo, le donne hanno lottato per il diritto al voto, ci sono in giro più donne istruite, e le persone istruite conoscono un mondo più vasto e vogliono viverci dentro; e oggi molte donne istruite, me compresa, sono vecchie e abituate a pensarsi autonome, e chiedono di più alla vita. Ci sono in giro molte più persone emancipate, donne, neri, persone venute dal «terzo mondo», come si diceva un tempo. E tutti vogliamo essere visti e ascoltati.

Le sue storie non parlano solo di sesso, ma anche di morte, malattie e disastri come l’11 settembre. Tuttavia si ha l’impressione che il corpo – con le sue fragilità e la sua potenza, come motore del desiderio, con il suo inevitabile declino, con la sua lotta fino all’ultimo per poter amare – sia il filo conduttore e il vero protagonista delle sue storie.

Mi piace quel che ha detto. Non me l’ha mai detto nessuno e di mio non ci avrei pensato, ma una delle grandi gioie di scrivere un libro e pubblicarlo è sentire ciò che gli altri hanno da dire in merito. Perché di solito gli autori non sanno esattamente cosa stanno dicendo. Sentono il bisogno di tirar fuori qualcosa (benché alcuni di noi abbiano anche enormi inibizioni nel farlo), e allo stesso tempo non sanno bene cosa sia finché non mettono nero su bianco quel qualcosa. Io ho scritto e riscritto infinite volte questi racconti, e li ho riletti a me stessa ad alta voce, cambiando e spostando parole. Tuttavia la storia emerge dal fondo della mia testa. Dal buio: il mio buio. La sua idea che il vero protagonista sia il corpo che lotta per vivere allo scopo di amare… mi piace. Un paio di anni fa stavo leggendo i racconti di un autore giustamente celebrato e ne ammiravo la bravura. Di tali racconti ricordo ancora numerosi dettagli, e non succede spesso di ricordare i dettagli a distanza di anni. Però dovetti smettere di leggere. Ogni personaggio femminile era in trappola. Le donne finivano inevitabilmente sconfitte, seppure con eleganza, e rinunciavano ai figli, venivano compatite, erano depresse… Non lo sopportavo. Sono quindi contenta che lei veda nelle mie storie un inesauribile desiderio di vivere il corpo. È così che comincia tutto, per ognuno e ognuna di noi: proprio con il corpo. Un buon genitore accudisce il corpo del suo bambino, lo nutre, lo lava, lo accarezza, e quest’amore e questa cura diventano parte di noi. Voler usare con amore il nostro corpo fino al termine della vita è un riconoscimento dell’affetto che ci è stato dato dai nostri genitori; volerlo fare anche se nessuno si è preso cura di noi dimostra la nostra determinazione a essere genitori di noi stessi e ad amare il nostro corpo e il corpo altrui.

Gli ultimi romanzi di Philip Roth sono ossessionati dal sesso. Sente qualche affinità con lui, come scrittrice? Pensa che gli esseri umani in generale, di ogni età e non solo scrittori, condividano quest’ossessione?

Roth è spesso uno scrittore meraviglioso, quasi sempre interessante; e il più delle volte il suo tema è un certo tipo di sessualità maschile, che vuole avere la meglio su tutto e non si cura dell’altro. Roth è anche sfacciato, e l’altro di cui non si cura, che prende a pugni, è il lettore. Una parte di me ne è sbigottita, e ammira il suo coraggio, la sua scandalosa determinazione, il suo rifiuto d’imbavagliare l’aggressività. C’è chi si è infuriato con lui, soprattutto quando lui era giovane. E mi spiace, soprattutto per quel suo giovane sé: fa male che la gente trovi disgustosa la tua scrittura; la reazione di alcune persone al primo racconto del mio libro, «Gli amori della mia vita», m’indusse a lasciare parecchi gruppi di scrittura.
Credo peraltro che Roth sarebbe d’accordo con me sul fatto che l’amore non è il suo argomento, anche se qua e là, dai cespugli del sesso, fanno capolino momenti d’amore. Ma Roth ama la letteratura e ne ha una conoscenza profonda. Everyman è un omaggio alla Morte di Ivan Ilic. Roth ha intervistato Aharon Appelfeld e Primo Levi e molti altri grandi scrittori, di solito europei. Vale sempre la pena di ascoltare quanto ha da dire come critico: è chiaro e impietoso, e qualche volta corroborante. Roth ha un corpus di opere impressionante, e se io dicessi che sento delle affinità con lui sarebbe come se affermassi che sento delle affinità con le balene o i pescicani o forse con l’oceano stesso. Ho provato a chiedergli uno strillo per la copertina del mio libro, e lui mi ha risposto: «Ormai sono fuori dal mercato letterario».
Quanto all’ultimo punto della sua domanda, non credo che gli esseri umani in generale condividano l’ossessione per il sesso, ma sono convinta che molti di noi abbiano per il sesso un profondo interesse. Quando insegnavo letteratura, uno studente chiese a un poeta ospite, W. D. Snodgrass, per quale ragione sembra che i poeti scrivano sempre di sesso. E lui rispose: «Siamo degli ottimisti».

Le sue storie sono piene di coppie innamorate e ancora “desideranti”, malgrado l’età e in certi casi perfino a dispetto di gravi malattie. Nell’insieme, dalla lettura del libro, si ha una percezione positiva e profonda della coppia. E questo accade nonostante le relazioni disastrose che ci circondano. Da dove le viene tanta positività?

Non so. Molte persone mi hanno detto che il mio libro è ricco di speranza. Nella sua recensione per il «New York Times», Dwight Garner ha scritto che leggendo Il buon vecchio sesso fa paura «si ha l’impressione che il buon vecchio sesso faccia tutt’altro che paura, che tutti questi uomini e donne si sforzino di essere umani con impegno e con grazia, una grazia che esce dritta dalla pagina». Dopo la presentazione del volume alla libreria Barnes and Noble di Manhattan, la giovane donna che aveva introdotto l’incontro mi ha detto che voleva regalarne una copia a sua madre perché secondo lei il libro sferra un colpo a favore delle donne che continuano a desiderare sesso e piacere. Io ho pensato che non era questa la mia intenzione, nel senso che non avevo alcun intento propagandistico e cercavo solo di scrivere della vita meglio che potevo. Ma se davvero sferro un colpo, è senza spargimento di sangue e sono lieta del “beneficio collaterale”. Nel libro dev’esserci qualcosa di positivo che viene da me. E attribuisco la mia positività innanzitutto all’aver passato l’intera vita incontrando pazienti e arrivando a conoscere alcuni di loro profondamente. Nel complesso i miei pazienti vogliono star bene e fare del bene, vogliono trattarmi bene ed essere trattati bene. Credo che sia un privilegio curare gente che si rivolge a me di propria volontà. Non seguo persone che il sistema giudiziario costringe a venire da me. Quelle che vedo sono fondamentalmente brave persone e lavoriamo insieme mettendocela tutta per comprendere e alleviare le loro difficoltà amorose.
La seconda fonte di positività sono stati i miei genitori. Mia madre era una maestra e mio padre un commesso viaggiatore. Volevano che diventassi anch’io un’insegnante (non un’infermiera, perché lo ritenevano un lavoro sporco…). Io ho sempre desiderato fare la scrittrice, e così decisi di mantenermi diventando insegnante di letteratura all’università, con l’idea di superare mia madre, suppongo, e loro acconsentirono e mi aiutarono economicamente. Per sei anni insegnai letteratura nei college statali. Poi iniziai un’analisi e decisi di studiare medicina per poter fare la psicoanalista – pensavo che sarebbe stato più facile mantenermi e dedicarmi alla scrittura. Pur trovando tutto ciò piuttosto bizzarro, e in effetti lo era, i miei acconsentirono e continuarono ad aiutarmi. E non era facile, perché la loro condizione finanziaria era modesta, sebbene non fossero poveri: come ho già detto, mia madre era una maestra e mio padre un commesso viaggiatore che non arrivò mai a prendere il diploma di scuola media; un uomo affettuoso e comprensivo tormentato dalla depressione. Ricordo che un giorno, quando facevo il tirocinio in psichiatria, mi disse: «Non riesco a credere, Arl, che tu sia nata da me».
La terza fonte di positività è stato senz’altro Bernard Malamud. Veniva da un’assoluta povertà; in casa sua non c’era nemmeno un libro; sua madre si era suicidata. Diceva di essere stato salvato dalla scuola. Studiava e insegnava a sé stesso e agli altri. Divenne un uomo di mondo e un grande scrittore. E io pensavo: guarda cos’è riuscito a fare. Allora, se c’è riuscito lui, anch’io posso combinare qualcosa.

La pubblicazione di questo libro “scabroso” ha cambiato la sua vita? E per esempio ha provocato scandali nella sua famiglia?

Ci sono state reazioni diverse. I miei due figli non vogliono sentire neppure nominare il titolo, figuriamoci se vogliono leggere il libro; però il maggiore ha continuato a chiedere alla moglie se c’era almeno un racconto che lui potesse leggere. Mia nuora gli ha detto che «Ballando con Matt» poteva andare, però tagliandone una pagina e mezzo. Ha chiesto il mio parere e io le ho detto: «Benissimo, taglia». Così mio figlio ha letto il racconto, salvo quella pagina e mezzo (indovini quale), e poi mi ha scritto una lunga e-mail dicendomi che è fiero di me come scrittrice, che ha imparato parecchie parole nuove e che ha apprezzato moltissimo la tenerezza e l’affetto fra i due coniugi. Proprio ieri mia nuora mi diceva che, se togliessi tutte le scene di sesso, mio figlio leggerebbe l’intero libro.
La moglie del mio secondogenito, invece, dice che non gli lascerà leggere il libro neanche quando sarò morta. Però è venuta con dieci colleghi – tutti avvocati della città di New York – al mio reading da Barnes & Noble, e ha regalato il libro a un sacco di gente. E mio figlio mi ha detto di chiamare un fotografo professionista – cosa che ho fatto – perché non trovava abbastanza belle le foto che pensavo di usare, e consiglia a tutti di comprare il mio libro, e quando qualche amico lo minaccia di leggergliene al telefono alcune parti, rifiuta con decisione ma ride.
L’atteggiamento di mio marito è cambiato nel corso del tempo. Prima si è indignato e si è vergognato, poi è subentrato l’imbarazzo e infine l’orgoglio. Di recente, dopo un litigio, ha detto che gli dispiaceva di avermi fatta stare tanto male, dal momento che sono capace di scrivere simili gemme. Ha letto il libro due volte.
Mia sorella pensa che io abbia “cannibalizzato la nostra famiglia”, ma ci sono tante cose di me che non le piacciono.
Una cugina mi ha chiamata e mi ha detto, «Magnifici racconti, ci ritrovo la zia Gert».
Mio nipote, che allora aveva tre anni, vedendo un mio ritratto nella vetrina di una libreria, ha detto: Ecco la nonna, ma dov’è Alex?
Delle reazioni dei miei pazienti non posso parlare.
Ma la cosa più importante è che Il buon vecchio sesso fa paura ha arricchito moltissimo la mia vita”.

Qual è la sua opinione sul dibattito che si sta svolgendo oggi in Occidente sulle molestie alle donne, specialmente negli Stati Uniti? Le sembra un dibattito equilibrato, una battaglia che le donne combattono giustamente? O vede in questo fenomeno un’onda di puritanesimo?

“Il dibattito che ha investito l’Occidente è importante. Ogni singolo caso, ovviamente, va visto per quello che effettivamente è. Alcuni, uomini e donne, denunceranno molestie sessuali pur avendo sperimentato solo un appuntamento spiacevole. Ma il movimento nel suo complesso mi sembra coraggioso e più che necessario. Non lo considero in alcun modo una forma di puritanesimo, perché fondamentalmente non è un dibattito sul sesso, bensì sulla vessazione. Persone potenti, aggressive e incapaci di usare bene il loro potere ne calpestano altre. Tradiscono la fiducia dei minori: in molti casi sono coinvolti preti e chierichetti, e ora è finito in galera un medico di giovani atleti che aspirano a far parte della squadra olimpionica. Stiamo “scoprendo” che le star del cinema, per fare carriera, sono spesso costrette a concedere favori sessuali a produttori e colleghi; gli uomini e le donne poveri si piegano, per campare, al volere di boss privi di scrupoli – è una questione antica quanto lo ius primae noctis. E senza dubbio continuerà, ma se donne famose e rispettate decidono di parlare inciteranno a parlare anche i ragazzi e le ragazze giovani, e i poveri; e i miliardari potenti e incantatori che mancano di remore morali ci penseranno un attimo prima di vantarsi di poter mettere le mani sui genitali di una donna; chissà che alcuni di loro non comincino a dar peso all’opinione pubblica, adesso che se ne sta creando una contraria alle molestie “sessuali”. E #MeToo ha già smascherato un candidato senatore e alcuni senatori e membri del Congresso già insediati, se non un presidente”.

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L’intervista di Leonetta Bentivoglio ad Arlene Heyman è apparsa in forma ridotta su «la Repubblica» del 2 marzo 2018. Ringraziamo l’autrice e il giornale. Traduzione di Anna Nadotti.

Arlene Heyman

Il buon vecchio sesso fa paura


Supercoralli, Einaudi 2018, 216 pp.
Traduzione > Anna Nadotti