Narrativa straniera e Frontiere

Via da Montefeltro

M—R
Marco Revelli 13 Maggio 2016 4 min

Pochi metri di distanza in una strada possono dividere i mondi lontanissimi di un paese che cambia. Come a Torino, in via da Montefeltro: dove pochi metri separano una fabbrica dismessa dai laboratori dove si progetta il futuro.

Forse l’unico modo per provare a dare una “misura” alla discontinuità temporale che segna il nostro vivere attuale e che rende così spesso irriconoscibile il domestico, è di distenderla nello spazio. Cioè di attraversarla. O, appunto, di “viaggiarci dentro”. Questo almeno mi sono detto quando ho incominciato il mio “viaggio eretico nell’Italia che cambia”, disegnandolo nella sua estensione massima, da Torino a Lampedusa, e passando per i punti in cui più che altrove i due lembi del taglio che ha diviso il passato prossimo da un futuro sempre più anteriore stentano a ricongiungersi, e la faglia rimane aperta: il nord-est del miracolo e dei suicidi, la Brianza del grande boom e dei fantasmi, la Prato virata di colore dal verde al giallo, la Taranto dell’acciaio trasformatosi senza soluzione di continuità da promessa di vita a segno di morte, la Gioia Tauro del Centro siderurgico mai nato e tuttavia a sua volta mortale…

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Ma la stessa operazione si può fare anche nel micro. Nello spazio di un quartiere. O anche solo di una strada. Così a Torino, semplicemente percorrendo i cento metri, forse meno, che separano il numero 2 di via Agostino da Montefeltro – dove ha trovato casa il Tool Box di Torino Coworking col suo FabLab – e il numero 4, dove aveva sede la società “Laminati e Profilati”… Nel primo l’embrione d’un’innovazione quasi incorporea nella sua rapidità mentale, con gli “smanettoni” di terza generazione – i makers del “fai da te” ad alta intensità tecnologica – al lavoro sulle stampanti 3D e negli spazi della condivisione e dell’open source con Arduino. Nel secondo, un portone più in là, il fantasma di ciò che fu un gioiello della metalmeccanica torinese, gli immensi spazi produttivi che nel 1936, quando lo stabilimento fu inaugurato, rappresentavano il fronte avanzato della tecnica e che ora sanno di marcio, ruggine e liquami, ridotti a “vuoto industriale” che non sa come riempirsi…

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Si impiegano trenta secondi, forse meno, a percorrerli a piedi quei pochi metri, passando davanti ai graffiti che writers impertinenti hanno tracciato sui muri sbrecciati, i cui ideogrammi indecifrabili danno, per certi versi, un alfabeto al perturbante che aleggia nell’aria. E che ci interroga su chi, mai, governerà questa distanza.

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Marco Revelli insegna Scienza della politica all’Università del Piemonte orientale. Fra i suoi ultimi libri Einaudi: La politica perdutaPoveri, noiFinale di partito (Einaudi). 

Marco Revelli

Non ti riconosco. Un viaggio eretico nell'Italia che cambia


Frontiere, Einaudi 2016, pp. 256