Leggere il presente

Gli anni Settanta sono ancora ostaggio di amnesie. Intervista a Miguel Gotor

G—P
Giulia Priore 16 Settembre 2022 4 min

Gli anni Settanta sono stati un decennio decisivo per il Novecento. Sono passati appena cinquant'anni e Miguel Gotor nel suo libro «Generazione Settanta» li ripercorre con scrupolo e precisione, perché è necessario il metodo dello storico per curare le ferite del nostro passato recente.

Anni Settanta: il decennio più lungo del Novecento. Questa è la definizione che lei dà nel suo libro. Può dirci in poche frasi il perché? E soprattutto, in un secolo come il Novecento, che è stato definito da Eric Hobsbawm il «secolo breve», quanto pesa questo decennio lungo? Sarebbe giusto dire che si tratta del decennio che connoterà con più forza tutto il secolo?

Ho scelto di utilizzare la nota e discutibile formula di Eric Hobsbawm sin dal sottotitolo per sottolineare ancora di più una caratteristica della decade dei Settanta, vale a dire il fatto che una serie di contraddizioni e potenziali conflitti iniziarono a coagularsi a partire dalla metà degli anni Sessanta e che gli strascichi delle pratiche politiche e delle ideologie anno travalicato la fine di quel decennio. Dal punto di vista politico ed economico gli anni Settanta sono stati fondamentali nella storia del Novecento: segnano la fine dell’ultima fiammata rivoluzionaria in Occidente in continuità con quanto avvenuto dal 1848 in poi in Italia e in Europa e anche la crisi del cosiddetto “compromesso socialdemocratico” che aveva caratterizzato i “trent’anni gloriosi” seguiti alla fine della Seconda guerra mondiale.

I processi di storicizzazione hanno bisogno di tempo e di distanza per dispiegarsi.

Come si colloca il decennio degli anni Settanta rispetto a oggi? Quanto gli anni delle rivolte, dell’agire comune, della rabbia e dello slancio politico parlano al nostro presente? C’è una contrapposizione netta oppure è possibile un dialogo?

I processi di storicizzazione hanno bisogno di tempo e di distanza per dispiegarsi. Lo dico marcando tutta la diffidenza possibile dalla cosiddetta “era del testimone” che ha caratterizzato gli ultimi decenni della storiografia connotandone l’uso pubblico e un’estrema politicizzazione che non hanno fatto bene alla credibilità e all’autonomia della disciplina. Studiando quel decennio ne ho potuto misurare la distanza e le differenze dall’oggi e ho cercato di farlo con lo spirito dell’archeologo che recupera reperti in modo stratigrafico che prova a contestualizzare e a comparare. Bisogna studiare i morti come se fossero vivi e i vivi come se fossero morti e sfuggire ogni presentismo e attualizzazione della conoscenza storica. Mi si dirà che così la storia rischia di diventare inutile o poco interessante: invece, proprio questo valore mi pare prezioso nella sua originalità perché quell’inutilità è il presupposto che consente di porre al passato nuove domande e quindi avanzare sul terreno della verità e della conoscenza storica.

Citando una frase del libro, il sangue stragista è zampillato dalla contraddizione tra una costituzione antifascista e una posizione materiale anticomunista. Quindi in qualche modo la tensione che ha contraddistinto gli anni Settanta nasceva da una ferita non rimarginata. Possiamo dire che quella ferita oggi sia stata ricucita?

Lo studio della storia ha proprio questa unica funzione civile: suturare ferite che altrimenti continuano a rimanere aperte e possono tornare a sanguinare all’improvviso. La memoria è un batuffolo che può disinfettare una ferita e dare un momentaneo sollievo e persino l’illusione di una completa guarigione di un corpo psicologico o sociale; ma se la ferita è infettata, va incisa in profondità e serve il bisturi e il metodo dello storico. È sempre un processo doloroso e per questo la conoscenza storica da fastidio, quando è libera. Solo così però si può evitare la cancrena e la graduale ricomposizione di un nuovo tessuto sano.

Mi piacerebbe che il mio libro potesse dare un contributo in questa direzione perché gli anni Settanta, nonostante siano passati quasi cinquant’anni, sono ancora ostaggio di amnesie e rimozioni, l’altro volto – ipertrofico – della memorialistica e della testimonialità in cui imperversano in modo più o meno dissimulato nostalgie e reducismi.

Miguel Gotor

Generazione Settanta


Einaudi Storia, pp. 464

L’affaire 7 aprile e l’oggi. Intervista a Roberto Colozza

A decenni di distanza c’interroghiamo con questo libro di Roberto Colozza su cosa sia stato il terrorismo ieri e cosa sia ancora oggi, in un’epoca in cui l’impianto ideologico del Paese è cambiato radicalmente.

Leggi di più

La resa dei conti tra padri e figli. Intervista a Monica Galfré sul caso Donat-Cattin

Monica Galfré, da storica racconta la vicenda straordinaria di Marco Donat-Cattin, dirigente di Prima Linea e figlio dell’allora vicesegretario della Dc. Un uomo che ha vissuto sulla sua pelle un conflitto generazionale irrisolvibile.

Leggi di più