Il momento è cruciale per il lavoro. Se ne parla moltissimo tra tutti, tra lavoratori garantiti e lavoratori precari, lavoratori sfruttati e sottopagati. L’anno che verrà porterà alla luce un cambiamento epocale: il luogo e il tempo del lavoro cambieranno faccia, probabilmente per sempre.
Mi correggo: più che un momento cruciale mi sembra un momento d’allarme. Intravedo sì le opportunità di una svolta così grande, ma purtroppo mi appaiono chiarissime anche le insidie. Si fa un gran parlare del “lavoro per obiettivi” come di una nuova modalità rivoluzionaria di lavoro. Ma per chi ha letto Johann Chapoutot Nazismo e management. Liberi di obbedire queste parole puzzano di marcio.
Il lavoro per obiettivi era infatti il metodo di lavoro delle aziende durante il nazismo. Il capo dà un obiettivo, il soldato o il lavoratore deve portare a termine la missione in qualunque modo e a qualunque costo, con un’inevitabile sospensione del senso etico che dovrebbe esserci dietro ogni azione umana.
Non sto dicendo che siamo in un regime nazista e che la deriva è totalitaria. Sto solo dicendo che il diavolo si nasconde nei dettagli e che l’uso sconsiderato di questa formula mi preoccupa.
Senza valutare il fatto che il lavoro per obiettivi assomiglia anche molto al cottimo, altro mostro che a più riprese si affaccia sul mondo del lavoro iperregolamentato di oggi, invadendo indisturbato le zone d’ombra della legge.
Penso quindi che sul lavoro debbano mettersi al lavoro (e la ripetizione è voluta per sottolineare l’impegno e la dedizione necessari a trovare una soluzione) i lavoratori abituati ad avere a che fare con l’essere umano: filosofi, scrittori, artisti, storici. Soprattutto i filosofi, e soprattutto chi con la scrittura lavora (di nuovo) e che, accanto alle storie ombelicali, interiori, segrete di singoli privati cittadini vengano fuori anche riflessioni sui noi, sulle folle, sui gruppi, sulle aggregazioni. Affinché lo smartworking non sia un abisso dell’io.
Johann Chapoutot
Nazismo e management
Spesso nascosto dietro la nebbia mistificante di termini inglesi come smart-working, quiet quitting o great resignation, è tornato centrale il tema del lavoro. Nei nuovi Quanti partiamo dall’esperienza personale, spesso con il suo portato di sofferenza, ansia o umiliazione taciuto nelle narrazioni ufficiali, per cercare di raccontare una dimensione collettiva.