In un tempo come questo in cui la società diventa sempre più ibrida cosa significa il termine da lei coniato, e cioè vecchiogiovane? E soprattutto, ha una valenza positiva o negativa?
Il termine vecchiogiovane segnala forse l’esistenza di una finestra temporale nuova, l’abbozzo di una nuova figura intermedia che ricava un suo spazio fra l’età adulta e la vecchiaia. Una condizione che è possibile immaginare solo da quando gli ambienti digitali sono diventati rilevanti nella nostra vita di relazione. L’adulto in rete diventa vecchiogiovane nel tentativo umanissimo di allontanare da sé la solitudine dell’ultimo periodo della sua vita. Lo fa, prova a farlo, continuando a utilizzare il linguaggio e gli stili di vita, a coltivare gli interessi e le discussioni di chi è più giovane di lui. Questo è reso possibile dalla distanza che lo schermo consente. Potremo così raccontare agli altri di noi solo quello che ci parrà opportuno, celando, più o meno sapientemente, il resto.
Il vecchiogiovane imita gli adulti pur iniziando a non farne più parte e lo fa attraverso i veli della comunicazione digitale dentro la quale silenzi e simulazioni sono meglio gestibili rispetto a quanto era possibile prima. Una simile forma di resistenza ha effetti benefici e talvolta perfino euforizzanti: la sensazione di continuare a fare parte del mondo. Ma sconta, alla lunga, la fatica del racconto di sé, lo sforzo quotidiano di essere diverso da come intimamente sa di essere. Nel tempo, per alcuni accade prima e per altri dopo, un sentimento di rivolta verso una simile piccola impostura, allontana definitivamente il vecchiogiovane dall’età adulta e lo consegna alla sua vecchiaia.
Lidia Ravera nel suo Age Pride rivendica un orgoglio della terza età. È d’accordo?
Certamente. Io sono convinto che ciascuno di noi reagisca al passare del tempo in maniera differente dagli altri, così non solo trovo lecito ma anzi ammiro molto chi ha idee al riguardo meno deprimenti delle mie. Osservo, a margine, che anche la vecchiaia e le sue conseguenze sono oggi potentemente condizionate dagli ambienti digitali e che in una società, almeno quella occidentale, in cui l’interesse economico si sposta costantemente verso le età più avanzate, è probabile che prossimamente la tecnologia, che oggi è pensata e scritta per i giovani ribelli, dovrà iniziare a tenere in maggior considerazione gli anziani. Se mai questo avverrà, l’orgoglio della terza età potrà ulteriormente aumentare.
Cosa pensa dei recenti scioperi in Francia contro l’innalzamento dell’età della pensione? Sembra che la definizione della terza età susciti da sempre grande scompiglio.
Penso che – come è accaduto anche in Italia anni fa ai tempi della legge Fornero – le discussioni sull’età della pensione riguardino non solo gli adulti, i quali magari vedono allontanarsi un momento che stavano aspettando, ma coinvolga a cascata tutti i gruppi sociali, spesso con motivazioni differenti. Così la piazza francese riunisce le istanze di chi vede allontanarsi la data del ritiro dal lavoro con quelle di chi stigmatizza l’incapacità dello Stato a mantenere l’equilibrio sociale, così come anche quelle di chi, come accade sempre, immagina l’innalzamento dell’età pensionabile come una scelta ideologica prima ancora che meramente economica.
In realtà, tranne in alcune situazioni come questa, la terza età è un momento del quale ci occupiamo il meno possibile, che interessa la società prevalentemente per le sue conseguenze economiche, per i suoi costi e per i problemi giganteschi che impone. Per il resto rimane – mi pare – l’età del silenzio e della lontananza. Impegnati come siamo a vivere ce ne occuperemo quando sarà il momento.
Massimo Mantellini
Invecchiare al tempo della rete