Leggere il presente

La benedizione della laicità. Intervista a Delphine Horvilleur

G—P
Giulia Priore 30 Maggio 2022 4 min

Il suo è un piccolo trattato di consolazione, un libro di cui c'è davvero bisogno oggi e sempre. Il rabbino Delphine Horvilleur ci spiega due concetti molto semplici ma grandi: la laicità e la sacralità.

Ho deciso di costruire questa intervista muovendomi tra due aggettivi che lei usa nel suo libro Piccolo trattato di consolazione. Vivere con i nostri morti (Vivre avec nos morts, traduzione di Elena Loewenthal). Due aggettivi che secondo me rappresentano i punti più vividi del suo discorso sulla morte e sul momento della consolazione. Nel capitolo II racconta la storia di Elsa, psicanalista vittima dell’attentato a Charlie Hebdo, e di come, nel momento in cui ha dovuto celebrare il funerale, la sorella di Elsa l’abbia presentata come un rabbino laico. Lei dice di essersi sentita in imbarazzo perché le è sembrato di trovarsi in un paradosso; nessun rabbino può essere laico ma poi invece si rende conto che quel «laico» è un aggettivo più ampio di quello che si può pensare all’inizio. In che modo?

Il giorno del funerale di Elsa Cayat, nel momento in cui sono entrata nel cimitero ero molto consapevole che in quel periodo ci fossero molte tensioni nella società francese. Sapevo che alcune persone stavano provando a creare una contrapposizione molto forte tra credenti e non credenti, tra coloro che avevano una qualche forma di religione nella propria vita e quelli che invece non l’avevano affatto. E questa contrapposizione parossistica quel giorno mi è sembrata irrazionale perché stavamo affrontando un lutto tutti insieme allo stesso modo. Io stavo officiando la cerimonia in veste di rabbino, di fronte alla famiglia di Elsa, e stavamo tutti condividendo qualcosa che poteva aiutarci a vivere insieme. E per me questo è proprio la benedizione della laicità. 

È molto difficile spiegare il termine «laïcité» a una persona che non parla il francese. «Laïcité» è infatti la ricetta francese per il secolarismo, e il secolarismo è la promessa di occupare tutti insieme uno spazio che è sempre, ripeto sempre, più ampio della nostra fede personale. Ho l’impressione che proprio la «laïcité» mi permetta di essere un rabbino, è un modo per accettare che c’è sempre più ossigeno nell’aria e molto più spazio del mio credo personale o quello di qualunque altra persona. Questa è, secondo me, una profonda benedizione nella mia vita. Quel giorno, quando la sorella di Elsa mi ha presentata alla sua famiglia come un rabbino laico mi è sembrata un’espressione strana e assurda. Ma subito dopo è diventata per me un termine molto importante e a me molto caro, in grado di esprimere il mio profondo attaccamento al secolarismo.

Lei parla del momento del lutto come di un momento, di un tempo «sacro». In ebraico questo aggettivo può significare «separato», come se il momento del lutto interrompesse la linearità del tempo della vita. Penso che oltre a essere un tempo sacro, il lutto sia anche uno spazio sacro, lontano dalle persone che non lo stanno vivendo e anche uno spazio per vivere il distacco dalla persona amata. Ma anche e soprattutto da ciò che eravamo prima che quella persona sparisse dal regno dei vivi. È così?

Penso che l’esperienza del lutto ti ponga su un’isola distante dal resto del mondo, ti dà l’impressione che nessuno davvero capisca e che le parole siano inutili e assurde. Ho notato che quando qualcuno entra in una casa a lutto sembra che le persone dicano cose stupide perché improvvisamente perdono la loro capacità di parlare, come se si fosse creato un distacco irrecuperabile. È molto difficile trovare le giuste parole e il giusto comportamento per rimediare a questo distacco. C’è un’antica tradizione che dice che quando incontri delle persone a lutto non devi rivolger loro la parola finché non lo faranno loro. Questo perché c’è sempre un rischio enorme di perdere qualcosa, di stare dalla parte sbagliata del linguaggio. È una di quelle cose che bisogna tenere a mente: prestare attenzione a ciò che diciamo quando ci avviciniamo a persone che stanno affrontando un dolore così grande.

Delphine Horvilleur

Piccolo trattato di consolazione. Vivere con i nostri morti


Passaggi, pp.168