Leggere il presente

La riscoperta della Brigata ebraica. Intervista a Gianluca Fantoni

G—P
Giulia Priore 27 Gennaio 2022 8 min

Per il Giorno della Memoria abbiamo chiesto a Gianluca Fantoni di parlarci della Brigata ebraica e del ruolo che ha avuto nella Seconda guerra mondiale.

Il titolo del suo libro Storia delle Brigata ebraica. Gli ebrei della Palestina che combatterono in Italia nella Seconda guerra mondiale, mi porta a formulare questa semplice domanda: cos’è la Brigata ebraica? Questo perché secondo me la definizione di questo corpo militare contiene in sé già tutti gli spunti necessari alla comprensione della sua complessità.

La Brigata ebraica fu un’unità di fanteria dell’esercito britannico creata nell’autunno del 1944 e composta prevalentemente, ma non esclusivamente, da ebrei di Palestina. In inglese si chiama Jewish Brigade (Infantry) Group. In Italia Brigata ebraica appunto. Questo nome può generare confusione, perché con lo stesso termine in Italia si indicano anche altri corpi, formati prevalentemente o esclusivamente da truppe ebraiche provenienti dalla Palestina mandataria. Si trattava in questo caso di compagnie tecniche, della logistica e dei trasporti, unità non combattenti quindi. Anche la loro storia, e particolarmente ciò che fecero in Italia, è narrata nel libro, anche perché alcune finirono per essere incorporate nella Brigata ebraica vera e propria. Quest’ultima fu dunque un corpo speciale: l’unica unità combattente che vide tra le sue file ebrei di Palestina. Operò prima in Italia e in seguito nel nord Europa, in particolare in Belgio e in Olanda. Ma a quel punto la guerra era finita, per cui la Brigata ebraica ha combattuto solo in Italia, prima in Romagna, nella zona di Alfonsine, e poi sul Senio, partecipando allo sfondamento finale degli alleati nella primavera del 1945. Da qui il legame speciale della Brigata con il nostro paese.

Ma la Brigata ebraica non fu solo importante per ciò che fece per liberare l’Italia, ma anche, e forse anche in misura maggiore, per ciò che fece per aiutare l’Italia e gli italiani. In particolare, gli uomini della Brigata aiutarono le comunità ebraiche della penisola a ricominciare dopo l’abominio delle leggi razziali e della deportazione.

Il Governo britannico tergiversò a lungo prima di decidersi ad autorizzare la formazione della Brigata ebraica, per una serie di motivi che sono analizzati nel libro. Da una parte non si voleva dare agli ebrei l’impressione che il Governo britannico stesse avallando la loro causa nazionale, e dall’altra non si voleva indispettire gli arabi di Palestina. Questi non potevano certo vedere di buon occhio la creazione di una formazione militare di ebrei palestinesi, che sarebbe loro sembrata il preludio alla creazione di quel “focolare domestico” ebraico promesso molti anni prima agli ebrei dal governo inglese, e osteggiato dalla maggior parte degli arabi che vivevano in quell’area geografica. Ecco quindi che la Brigata fu messa insieme solo nell’estate del 1944. Arrivò tardi al fronte nella primavera successiva. Ma la Brigata ebraica non fu solo importante per ciò che fece per liberare l’Italia, ma anche, e forse anche in misura maggiore, per ciò che fece per aiutare l’Italia e gli italiani. In particolare, gli uomini della Brigata aiutarono le comunità ebraiche della penisola a ricominciare dopo l’abominio delle leggi razziali e della deportazione. Anche questi aspetti sono trattati diffusamente nel libro. 

Questa non è tutta la storia però, e non è il solo motivo per cui questo libro è stato scritto. La storia della Brigata ebraica continuò anche dopo che la Brigata stessa venne sciolta, nell’estate del 1946. Ecco quindi che nel libro si discute dell’eredità materiale, morale e politica della Brigata ebraica, in Israele, in Italia, e nel mondo anglosassone. Si discute per esempio del mito guerriero della Brigata, che prese corpo in Israele negli anni Quaranta, anche per il contributo decisivo che gli uomini che avevano militato della Brigata diedero alla vittoria del neonato Stato ebraico nella guerra del 1948-49 (Prima guerra arabo-israeliana). Affievolitosi negli anni, il mito della Brigata riemerse, dagli anni Novanta in poi, particolarmente nel mondo anglosassone, in funzione mitopoietica, cioè come veicolo per rilanciare una serie di miti storici, tutti in qualche modo legati al sionismo delle origini e degli anni eroici della fondazione di Israele. Tali miti dovevano essere difesi dai cosiddetti new historians, un gruppo di storici israeliani che intorno agli anni della pace di Oslo (primi anni Novanta) stavano sistematicamente demolendo la vulgata storica sionista. Ci riferiamo qui al lavoro di storici come Simha Flapan, Benny Morris, Tom Segev, Idith Zertal, tra gli altri. Molte delle conclusioni che questi storici hanno raggiunto grazie al loro lavoro sono oggi accettate, almeno in qualche misura, dall’opinione pubblica israeliana e dalla storiografia internazionale. Per esempio l’idea che gli arabi non furono i soli responsabili della Prima guerra arabo-israeliana; che essi non presentavano affatto un fronte unito, come si era sostenuto per lungo tempo, e infine, l’aspetto forse piú delicato da un punto di vista politico: che l’esodo di massa dei civili arabi dalle zone finite sotto il controllo degli israeliani durante la guerra del 1948 (in arabo la nakba, la catastrofe) non fu solo una scelta degli arabi, ma fu in parte dovuto al terrore provocato dalle violenze perpetrate contro alcuni villaggi arabi dal neonato esercito israeliano o da bande autonome di ebrei di Palestina. Negli anni Novanta la battaglia per definire la nuova storia di Israele era ancora pienamente in corso; i new historians avevano parlato un po’ di tutto, ma non avevano mai parlato della Brigata ebraica, la cui vicenda era entrata già da tempo in un cono d’ombra storiografico. La storia della Brigata era dunque l’argomento perfetto per i sionisti degli anni Novanta, perché parlando di Brigata ebraica si poteva rilanciare una lettura sionista della storia della Palestina, e cercare cosí di salvare dall’estinzione tale storiografia. Ecco quindi spiegato il manicheismo della letteratura neosionista degli anni Novanta sulla Brigata ebraica: gli arabi palestinesi tutti inaffidabili e filofascisti, gli ebrei di Palestina tutti entusiasti sostenitori della causa della democrazia. La Brigata ebraica come composta solo di sionisti convinti, tutti rappresentanti dell’uomo nuovo sionista, coraggioso e forte; il suo contributo alla guerra come decisivo, il suo comportamento esemplare in ogni circostanza. L’inevitabilità della fondazione di Israele, logico compimento del destino di un popolo, idea cui si accompagna, allo stesso tempo, l’esaltazione dell’eroismo quasi sovrumano che tale fondazione richiese.

La Brigata ebraica è stata infine “riscoperta” anche in Italia, a partire dagli anni duemila, e tale riscoperta ha suscitato non pochi dibattiti e polemiche, come si è visto negli ultimi anni in occasione delle celebrazioni del 25 aprile, particolarmente a Roma e Milano. Il libro ne parla, collocando questa vicenda nel lungo periodo e cercando di sondarne le ragioni ultime: storiche, politiche e financo psicologiche. In questo caso siamo di fronte al tentativo di rilegittimare il sionismo agli occhi dell’opinione pubblica italiana portato avanti da alcuni settori dell’ebraismo italiano come anche da molti commentatori ed intellettuali non ebrei, per lo più politicamente schierati nell’area di centro-destra. La rivalutazione del sionismo, come anche la difesa, anche energica, delle ragioni di Israele sono in sé pienamente legittimi. Il problema sorge quando per raggiungere tale scopo si danno interpretazioni parziali o tendenziose della storia. Per far sì che la Brigata ebraica potesse servire come argomento polemico, bisognava infatti insistere su certi punti legati alla storia della Brigata ebraica, metterne in ombra altri, azzardare collegamenti e paragoni storici, il che è una delle possibili definizioni di uso politico della storia. Nella fattispecie, bisognava insistere sul carattere sionista della Brigata ebraica. Ma non solo, poiché la promozione della Brigata ebraica aveva anche lo scopo di aiutare la campagna a favore di Israele portata avanti da settori dell’ebraismo italiano, si doveva anche sminuire o negare del tutto l’apporto dato dagli arabi di Palestina alla causa antifascista, affermare con forza le simpatie filonaziste degli arabi e dei palestinesi in particolare. D’altro canto, questa era anche una reazione ad una campagna di tendenza inversa, ma altrettanto e forse ancor più tendenziosa, che ampi settori della sinistra avevano portato avanti per lo meno dalla fine degli anni sessanta. Tale campagna era tesa a screditare Israele che, avendo scelto l’alleanza con gli americani invece che col campo socialista, doveva essere considerata, ipso facto, imperialista. Ciò aveva portato anche ad una valutazione molto negativa del sionismo, non più movimento che aveva dato corpo alle legittime aspirazioni nazionali di un popolo, ma ideologia anch’essa imperialista. Tale percezione aveva finto per influenzare larga parte dell’opinione pubblica italiana. Ribaltare questa percezione è appunto uno dei motivi della “riscoperta” della Brigata ebraica nel nostro paese. 

Gianluca Fantoni

Storia della Brigata ebraica. Gli ebrei della Palestina che combatterono in Italia nella Seconda guerra mondiale


Einaudi Storia, pp. 240