Leggere il presente

L’energia dell’errore. Intervista a Chandra Candiani

G—P
Giulia Priore 18 Ottobre 2021 7 min

L'errore, la religiosità, gli animali e il nostro essere piccolissimi in un universo immensamente grande e imperscrutabile. L'intervista a Chandra Candiani nasce dalla lettura del suo ultimo libro uscito a fine agosto, «Questo immenso non sapere. Conversazioni con alberi, animali e il cuore umano». Come in una grande tela-affresco, in cui le possibilità e i temi sono infiniti, abbiamo deciso di riprendere alcuni fili.

Gli animali e la religione. Sono due mondi che si sfiorano o che si attraversano, che si combattono o si alleano? A me piace pensare che appartengano l’uno all’altro indissolubilmente. Ma la mia domanda è: come si possono integrare sempre di più nella vita arida e materialista della città?

Candiani: Più che di religione parlerei di religiosità. Nelle religioni costituite c’è poco spazio per gli animali, per le donne, per il gioco, per le verità del corpo. 

Per me gli animali sono i rappresentanti della fiducia, la fiducia radicale, primordiale nell’essere, non la passività, ma l’abbandono a una forza grande, si chiami vita o morte o qualcosa che non le separi.

Tornando di passaggio in città, ho visto per la prima volta con chiarezza l’incarnazione del pensiero capitalista, non ci sono cittadini ma consumatori e i sacchi a pelo degli homeless sotto le luci dei negozi per sentire un po’ di caldo bastano da soli a denunciare la visione in cui si vive. Per non parlare degli schermi in cui in metrò sono tutti affondati e la realtà esterna se ne va per conto suo, sfilata senza che nemmeno ce ne accorgiamo.

In città l’animale sta dentro di noi, acquattato, timoroso, è la nostra paura di sperimentare, di avventurarci, di uscire dal ‘si fa così’. In città si è in un sogno auto-centrato e chi ne esce è matto oppure se ne deve andare. 

Quando vivevo a Milano, praticavo comunque l’ascolto. Ascolto del respiro, del corpo con le sue tensioni e i suoi urli, per sentire quello che mi mancava, per sentire dove mi nascondevo, cosa inghiottivo senza ribellione. 

In città ci sono i cani, osservarli è stato una grande scoperta, dei piccoli schiavi che ti guardano vergognosi o arrabbiatissimi, stizzosi; e non si sa chi porta in giro chi. Certo, sono dei soccorritori a cui deleghiamo il nostro desiderio di follia e di autenticità.

Credo che in città resti da osservare e liberare gli animali interiori, i sogni, i pensieri segreti, i desideri, togliergli museruola e guinzaglio non per scatenarli, ma per conoscerli. Fare silenzio, cercare la quiete delle voci che ci abitano è un’altra àncora alla religiosità delle radici, dell’animale.

Il resto è la risposta che la nostra vita saprà trovare.

Nel libro lei fa cenno alla storia raccontata da Karen Blixen, quella della cicogna.

«Un uomo che viveva vicino a uno stagno, una notte fu svegliato da un forte rumore. Uscì allora nell’oscurità e si diresse verso lo stagno, e correndo a destra e a manca, seguendo solo il rumore, cadde incespicando più volte. Finché trovò una falla da cui fuoriuscivano sia l'acqua che i pesci: cercò con tutte le sue forze di tapparla e solo a lavoro compiuto se ne tornò a letto. La mattina dopo, affacciandosi alla finestra vide con sorpresa che le impronte dei suoi piedi avevano disegnato sul terreno la figura di una cicogna. «Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò o altri vedranno una cicogna?»

Si tratta di un invito alla non ambizione. Io l’ho trovato un racconto molto rassicurante, come se ognuno di noi potesse affidarsi con fiducia assoluta a un senso della vita di cui non riesce a vedere i contorni.  È così?

Candiani: Sì, forse è un invito alla non onnipotenza dell’io e dell’agire, del fare. Un invito a credere nella guida del sogno, della visione che nelle emergenze si risveglia e dopo, dopo aver agito con l’urgenza dello scampo, nel buio del non controllo, posarsi e vedere che un disegno c’è. Non esistono esperti di destini. Quando siamo tutt’uno con quello che facciamo, quando obbediamo a una spinta che ci sorpassa, quando l’io tace, un disegno può rivelarsi, ma dopo, dopo aver rischiato, essersi messi in gioco, tentato di salvare il salvabile facendo appello alle nostre ultime forze, a un’energia che non calcola e non misura, si dà nel momento.

Sì, non riusciamo a vedere i contorni della nostra esistenza, d’altra parte viviamo su un pianetino perso in una piccola galassia tra innumerevoli galassie di un universo che non ha fine. Ma non ci pensiamo mai, non ci guardiamo mai da quella misura, non stiamo nella piccolezza, eppure fa bene, si prende tutto meno personalmente, si ha una visione più vasta dove il male non ci viene fatto perché qualcuno lo decide a tavolino, ma perché siamo ignoranti e presi solo da noi stessi e dalle nostre illusioni. 

Così ora, nella prima epoca in cui la vita stessa del pianeta è a rischio, fare quel che possiamo, ognuno nel suo campicello, senza pretese tuttologiche, ma con l’interezza del corpo-cuore-mente, ci può far sentire meno impotenti, più chiamati all’essere parte, essere insieme, senza enfasi, facendo per bene il nostro compito, con passione. C’è la possibilità di una rivoluzione personale nelle relazioni che ci circondano, nei passanti che incontriamo, negli amori, nelle amicizie, che se mettiamo in atto ci dà il senso di quello che è da salvare e di come sia naturale e soddisfacente vivere così: lavorando a mano il bene, nella prossimità, nell’ordinarietà, senza sfoggio. C’è un riverbero grande, c’è il disegno di una cicogna che ci aspetta.

Poche pagine dopo una citazione di Tolstoj sull’angoscia dell’impreparazione. L’energia dell’errore pare essere l’unico modo per uscire dall’impasse dell’insicuro, dalla paralisi del creativo e dal vuoto della paura. L’errore ha davvero così tanto potere nelle nostre vite? 

Candiani: Credo che per Tolstoj, o per Šklovskji che ne parla, si tratti di energia dell’errore nel senso duplice di errare, permettersi di sbagliare, ma anche andare errando, seguire vie non prestabilite, andare a tentoni, balbettando e vacillando e lasciandoci trovare da quello che conta, lasciandoci scoprire dal vero. Come si può scrivere se si ha paura di sbagliare o se si è troppo ligi a un’idea di letteratura? Spesso quando non scrivo mi accorgo che c’è un critico in azione dentro di me, che affonda qualsiasi tentativo di fare parola.

Me ne sono andata da Milano per casualità. Non è stato facile cambiare mondo. Diventare qualcosa di naturale che risponde a leggi naturali, dopo una vita in città, all’inizio fa male. Ho errato. Andare ogni giorno nel bosco mi ha insegnato, oltre alla ciclicità del tempo, a lasciare che sia il bosco a fare di me qualcosa, a trasformarmi impercettibilmente, e a smettere di cercare io uno scopo, un senso, una cosa grande, ma essere lì pienamente presente a tutto, sveglia. La presenza senza centro, la presenza e basta è un risveglio costante e accende una visione che forse non è nemmeno nostra, c’è e basta. Come la poesia.

Chandra Candiani

Questo immenso non sapere


Vele, pp. 168