Narrativa straniera e Frontiere

Enrico, viandante dello spirito

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Luigi Forte 17 Luglio 2021 12 min

A un anno dalla sua scomparsa, ricordiamo Enrico Ganni (1950-2020), collega e amico, pubblicando le parole che Luigi Forte ha scritto in suo onore nella postfazione a I dolori del giovane Werther, l'ultima traduzione di Enrico.

Anche Enrico Ganni, come diceva Goethe del traduttore, è stato un viandante dello spirito. Spaziava con grande sensibilità linguistica fra gli scrittori tedeschi, dai classici dell’Ottocento a Thomas Mann e Hermann Hesse, fino ai contemporanei Enzensberger e Handke. Senza dimenticare maestri mitteleuropei come Musil e Kafka. Si appassionò anche a Freud, traducendo Il disagio della civiltà, e a Walter Benjamin, di cui curò per Einaudi l’edizione italiana delle opere complete. Tradurre per lui era forse il vero modo di leggere un libro. Aveva frequentato la scuola a Francoforte fino alla fine del liceo, conosceva quindi perfettamente il tedesco ed era consapevole di quella felice ubiquità che lo metteva in contatto con lo spirito di due lingue, che – come ricordava Calvino – «possono trasmettersi la loro esistenza segreta».

 

Verso Goethe ebbe un’attenzione particolare. E lo conferma anche la versione di I dolori del giovane Werther che, terminata poco prima della morte improvvisa nell’estate del 2020, riesce davvero a catturare l’anima del testo. Ganni amava attivare l’inclinazione all’ascolto, l’attenzione a percepire il battito della pagina riuscendo a coglierne musicalità e dissonanze. È con tale finezza che affronta lo «stile inedito» di un romanzo steso in poche settimane, tra febbraio e marzo del 1774, fortemente ritmato e liricheggiante, con frasi smozzicate, iterazioni e libere costruzioni sintattiche che rispondono, più che a regole grammaticali, a un’intemperante individualità, che scioglie il lamento d’amore in suono e ritmo. Tutto scivola via di fronte a quel disperato viandante che della cultura sentimentale della propria epoca conosce solo rinuncia e nostalgia e non trova alcun approdo nella voce del cuore. Un soggetto giovane e borghese, insofferente a vincoli e divieti, prototipo di una generazione ribelle che apre gli occhi su una realtà inesplorata e ne scopre il vuoto.

Ganni amava attivare l’inclinazione all’ascolto, l’attenzione a percepire il battito della pagina

Ma al primo grande best seller europeo, oggetto di imitazioni e parodie e «pieno di razzi incendiari», come disse in tarda età il suo autore, Ganni è arrivato dopo un’intensa esperienza sulle pagine goethiane. In anni lontani aveva collaborato all’edizione di tutte le poesie curata per Mondadori da Roberto Fertonani con cui si era laureato a Milano. Qui, nella sua versione della parte prosastica del Divan occidentale-orientale, ebbe modo di riflettere sui vari generi di traduzione contemplati da Goethe al fine di «rendere la traduzione identica all’originale sicché l’una non sia surrogato dell’altro, bensì lo rappresenti paritariamente». L’avrebbe sottoscritto anche Madame de Staël, che in un articolo del 1816 annotò: «Trasportare da una ad altra favella le opere eccellenti dell’umano ingegno è il maggior benefizio che far si possa alle lettere».

 

Goethe divenne per Ganni una fonte inesauribile con cui misurarsi sia come editor presso Einaudi che come traduttore. Nel 2008 propose infatti, nella versione di Ada Vigliani, il volume di J. P. Eckermann, Conversazioni con Goethe, in una magnifica veste con preziose illustrazioni. Un itinerario enciclopedico fra letteratura e musica, filosofia e religione, arti figurative e scienze naturali. Un libro per tutti gli usi: manuale di sentenze e di saggezza per la vita, odissea in un’epoca di grandi rivolgimenti storici e compendio letterario. Ma soprattutto un viaggio attraverso il mistero del genio che nella quotidianità sa essere gigione e attore, un affabulatore instancabile a casa come in carrozza, durante un picnic, un invito a corte o un tè di gala. Nel raccontare infatti Goethe era irresistibile come Diderot, ricorda il fido Eckermann, ascoltatore nato, pronto a memorizzare e annotare riflessioni e pensieri del mae­stro che non esitava a sferzare il filisteismo dei tedeschi.

 

A lui Ganni tornerà piú tardi traducendo e curando per la collana einaudiana dei «Millenni» l’autobiografia, Dalla mia vita. Poesia e verità, con un ampio apparato di note e una scelta di illustrazioni di pittori francofortesi dell’epoca a cui egli stesso dedica un breve, originale saggio. Qui lo scrittore ripercorre gli anni della propria infanzia e giovinezza fino alla partenza per Weimar nel 1775 con una travolgente energia giovanile e un’insaziabile curiosità verso il mondo della cultura e della storia del suo tempo che la versione di Ganni vitalizza in maniera eccellente. Cosí anche le esperienze piú semplici e private diventano racconto sanguigno come le scappatelle in qualche bettola con amici o divertenti gite sui barconi del fiume Meno. Per non parlare delle vivaci avventure amorose a cui il libro dedica pagine incantevoli dove si alternano tutte le figure femminili – da Gretchen a Friederike, da Charlotte Buff a Lili Schönemann – immortalate nelle sue poesie. Cento di esse, scelte da Siegfried Unseld, uscirono alla fine degli anni Novanta per iniziativa di Ganni, nei tascabili Einaudi. Fu lui allora a chiedermi di scrivere l’introduzione cosí come in precedenza aveva fatto di tutto per convincermi a curare l’edizione delle poesie di Brecht per la collana della «Pléiade» einaudiana. Piú tardi mi propose la prefazione al racconto di Kafka La metamorfosi, da lui stesso tradotto. Ricordo ancora il piacere che provai di fronte alla sua splendida versione al punto da ripensare a quel testo, letto infinite volte, cercando sfumature nuove per accostarmi il piú possibile al livello del suo lavoro. Piú tardi ci venne in mente, non senza gratitudine verso il povero Gregor Samsa, che proprio quelle pagine sul disamore e l’indifferenza avevano rinsaldato il nostro comune sentire.

 

La nostra amicizia era nata curiosando nella letteratura tedesca, ma cresceva e maturava nel racconto delle reciproche esperienze fatte in Germania: la sua adolescenza a Francoforte e gli anni di studio, poi piú tardi un periodo trascorso come borsista a Berlino est presso la Facoltà di Germanistica dell’Università Humboldt. Ricordavo bene quel palazzo imponente di fronte a cui passavo tutte le mattine per recarmi all’archivio di Brecht, dove mi toccava trascrivere poesie inedite in mancanza di una fotocopiatrice. Avevamo entrambi conosciuto l’atmosfera straniante e un po’ irreale della capitale socialista, che riviveva quasi magicamente nelle nostre parole alla ricerca di lontane sensazioni e di immagini proiettate fra il Berliner Ensemble e l’ampia prospettiva del viale Unter den Linden. Era solo l’inizio di amati percorsi fra Monaco e Berlino, ricordando comuni amici e poeti come Michael Krüger della casa editrice Hanser, o il suo carissimo Enzensberger di cui aveva tradotto Il mago dei numeri e il surreale Ma dove sono finito? Sette viaggi straordinari nel tempo e nello spazio. Era stato a lungo in contatto con lui e parlava sempre con entusiasmo dei suoi libri. Del poeta e dell’intellettuale non ammirava solo l’intelligenza e la cultura, ma anche lo sguardo obliquo, originale con cui osservava la realtà e il profondo atteggiamento ironico, che non faceva difetto nemmeno a Enrico. Era anzi il sottofondo costante delle nostre riflessioni quando ci si incontrava abbastanza spesso in una piccola trattoria del centro di Torino. A vederlo arrivare da lontano in bicicletta con quel suo fisico giovanile e asciutto, provavo l’affettuosa invidia d’un fratello maggiore che gli anni avevano ormai definitivamente sbalzato di sella. Ma bastava poco per tornare a pedalare, almeno con la mente, perché progetti, novità librarie, incontri con scrittori di cui Enrico mi metteva al corrente, mi riportavano in pista e allora, si procedeva insieme, e la narrazione correva libera e inarrestabile. Non senza qualche gustoso aneddoto, magari sul Salone del libro di Francoforte da cui tornava quasi sempre con tante idee e nuove prospettive. Oppure scambiandoci esperienze sull’università, dove da qualche anno insegnava presso la Facoltà di Lingue, accollandosi anche seminari qua e là in occasione di incontri e giornate di studio sul tema della traduzione. Poi quel ciaccolare libero e disinvolto talvolta prendeva il volo verso lidi esotici e diventava il suggestivo resoconto di viaggi lontani e meravigliosi, con la cara moglie Angela e l’amatissimo figlio Tommaso. Mi si aprivano mondi nuovi e scoprivo in Enrico una curiosità infinita proiettata ai quattro angoli del mondo.

Avevamo entrambi conosciuto l’atmosfera straniante e un po’ irreale della capitale socialista, che riviveva quasi magicamente nelle nostre parole alla ricerca di lontane sensazioni e di immagini proiettate fra il Berliner Ensemble e l’ampia prospettiva del viale Unter den Linden.

Letteratura e realtà si integravano in un gustoso connubio in cui i libri erano comunque al centro del nostro dialogo, non di rado ben oltre i confini della cultura tedesca. Ganni infatti era responsabile con alcuni colleghi della revisione anche di romanzi di lingua inglese o russa come Moby Dick, Anna Karenina, Guerra e pace, che rientravano nella serie della collana «Supercoralli» riservata ai grandi classici in nuova versione da lui stesso promossa fin dall’aprile del 2013, con Delitto e castigo, Il rosso e il nero e poi, piú tardi, Il Circolo Pickwick e Cime tempestose. Un’esperienza felicissima, sia per gli ottimi risultati editoriali che per il clima di lavoro e di collaborazione.

 

Oggi piú che mai, nel vuoto che ha lasciato, risaltano il carattere e le doti di Enrico che amici e colleghi ricordano come un professionista impeccabile, rigoroso e preciso, che con la sua presenza sapeva trasmettere equilibrio al gruppo. Averlo come editor – dicono – è stata una fortuna perché aveva competenza, orecchio, gusto sicuro. E di certo valeva per lui quanto scrisse Primo Levi a suo tempo alle prese con Il processo di Kafka: «Tradurre è seguire al microscopio il tessuto di un libro: penetrarvi, restarvi invischiati e coinvolti». Anche con traduttrici e traduttori dei grandi classici aveva stabilito da subito rapporti distesi e cordiali in un clima di reciproca fiducia. Era un redattore rispettosissimo delle scelte altrui e tutti ne ammiravano il garbo, la delicatezza e anche il senso dell’umorismo che riusciva a creare un’atmosfera leggera attorno a problemi spesso di non facile soluzione. Nonostante la sua grande competenza aveva l’intelligente umiltà di chi chiede e ascolta pareri sviluppando un costante, creativo dialogo. Interveniva senza mai mettersi al centro o dare l’impressione di voler sopraffare l’interlocutore: bastavano i suoi argomenti a imporlo all’attenzione dei colleghi.

 

Grazie al suo infaticabile lavoro di traduttore aveva imparato a trasmettere la conoscenza degli altri. La letteratura era in qualche modo vissuta come alchimia spirituale ed espressione della diversità. Come diceva Hofmannsthal: «Io non mi conosco se resto solo con me stesso, ma se sono anche un altro». E lui sapeva trasformarsi in quel mediatore perfetto che nelle sue ricognizioni linguistiche lasciava spazio al gioco inventivo in bilico fra precisione e originalità. Lo ha fatto, da ultimo, anche con il Werther, il primo dandy della letteratura europea, il tipo del soggetto narcisista che tutto vorrebbe afferrare e consumare, il cui vitalismo si ribalta in pulsione di morte. Il drammatico epilogo del romanzo sembra ora, a posteriori, come un beffardo segno del destino rivolto a chi, come Enrico, circondato dall’affetto, amava invece profondamente la vita e il suo lavoro. E non avrebbe certo esitato a far sue le parole di Werther: «Mi vogliono bene in molti e molti si sono affezionati, e quindi mi addolora se percorriamo insieme solo un breve tratto di strada».

«Mi vogliono bene in molti e molti si sono affezionati, e quindi mi addolora se percorriamo insieme solo un breve tratto di strada».

J. W. Goethe, I dolori del giovane Werther, traduzione di Enrico Ganni

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Enrico Ganni (1950-2020) si è occupato di traduzione sin dagli anni Ottanta, sia come docente, sia come traduttore e curatore, segnatamente su maestri della letteratura tedesca quali J. W. Goethe, Th. Fontane, Th. Mann, F. Kafka, W. Benjamin, H. M. Enzensberger. Dal 1995 alla sua scomparsa è stato editor di Einaudi per la germanistica. Suo è il progetto e la cura della serie delle Grandi traduzioni, in seno alla quale è stato pubblicato I dolori del giovane Werther, l’ultima sua traduzione.

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Luigi Forte, saggista e scrittore, insegna Letteratura tedesca presso l’Università di Torino.

Johann Wolfgang Goethe

I dolori del giovane Werther


Supercoralli, Einaudi 2021, pp. 136
Traduzione > Enrico Ganni