Narrativa straniera e Frontiere

Una biblioteca è un’autobiografia

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Lina Bolzoni 7 Gennaio 2019 6 min

«Se ogni biblioteca è autobiografica, imballarla è un po’ come redigere il necrologio di se stessi», scrive Alberto Manguel. E ne ha avuta piena consapevolezza quando, a causa di un trasloco, è stato costretto a «ridimensionare» la sua biblioteca personale di oltre 35.000 volumi: la recensione è di Lina Bolzoni.

All’inizio c’era l’Eden: una antica canonica in pietra a sud della valle della Loira, con un giardino, un orto, e un grande granaio, dove trovano collocazione le diverse biblioteche (circa 35 000 volumi) che Alberto Manguel ha radunato nella sua vita nomade, da ebreo errante. «In quel giardino cintato – egli scrive – regnava una tranquillità straordinaria. Tutte le mattine, verso le sei, scendevo le scale ancora insonnolito, preparavo una tazza di tè nella scura cucina di travi e mi sedevo fuori sulla panchina di pietra con la nostra cagna a guardare la luce del mattino che risaliva lungo il muro in fondo. Poi, sempre con lei, andavo a leggere nella mia torre, di fianco al fienile. Solo il canto degli uccelli (e d’estate il ronzio delle api) infrangeva il silenzio. Al crepuscolo piccoli pipistrelli svolazzavano in cerchi… nelle notti di capodanno un’enorme civetta bianca, simile all’angelo che secondo Dante conduce la nave delle anime alla riva del purgatorio, scivolava silenziosa nel buio».

Questo libro racconta la cacciata dall’Eden. Alberto Manguel ha dovuto abbandonare quel luogo magico, impacchettare i suoi libri e trasferirli altrove. Per capire il dolore, il senso di lutto che questo comporta, bisogna tener presente cosa significano i libri, e la biblioteca, per Alberto Manguel, lo scrittore che, adolescente, fu chiamato da Borges, la cui vista era gravemente danneggiata, a leggere a alta voce i libri per lui. Ai piaceri della lettura, alla parte essenziale che gioca nella nostra vita, Manguel ha dedicato libri memorabili, come Una storia della lettura (Feltrinelli, 2009), tradotta in molte lingue.  È, come subito avverte, solo una delle storie possibili, perché la lettura è un campo inesauribile, e personalissimo, di esperienze vitali. Proprio il lettore, e la lettrice, fanno sì che i libri vivano, vengano incontro via via alle segrete domande di chi li legge, diventino parte irrinunciabile della loro autobiografia, poiché «come Narciso noi lettori amiamo credere che il testo che stiamo guardando contenga il nostro riflesso». E ancora «noi lettori l’abbiamo sempre saputo: i sogni della finzione generano le verità del nostro mondo», scrive in Sig. Bovary & altri personaggi, (Pagine d’arte, 2016); i personaggi vivono in noi e proprio per questo si trasformano continuamente: «tutti i personaggi rimandano a Proteo, il dio del mare cui Poseidone concesse di potersi trasformare in qualsiasi forma dell’universo».

I libri di Manguel ci consegnano il ritratto di un uomo che fa della curiosità il suo emblema

I libri di Manguel ci consegnano il ritratto di un uomo che fa della curiosità il suo emblema. E proprio alla curiosità è dedicato un libro di cui abbiamo parlato su queste pagine, uscito da Yale University Press nel 2015 e pubblicato in italiano, da Feltrinelli, col titolo Una storia naturale della curiosità. Il titolo è già la rivendicazione di un atteggiamento etico e psicologico, che è all’insegna appunto del libero vagabondare, dell’inquieto interrogarsi, della disponibilità a farsi trasformare dagli incontri che la vita ci propone, e che noi andiamo a cercare. Incontri con le persone e con i libri. Come aveva consigliato Seneca, e come faceva Petrarca, Manguel viaggia infatti nel vasto mondo dei libri come si viaggia per diversi paesi, con curiosità, per incontrare amici nuovi, per porre loro domande che gli permettano di conoscere se stesso. Per certi aspetti fa venire in mente i compilatori dei grandi repertori cinquecenteschi, come la Polyanthea di Domenico Nanni, “opus suavissimis floribus exornatum”(opera ornata dei fiori più soavi), basato su una corrispondenza fra biblioteca e giardino che è cara anche a Manguel, oppure l’Officina et cornucopia di Ravisius Textor, opere che scomponevano la biblioteca, antica e moderna, in frammenti riusabili. Con ben maggiore libertà e gusto individuale Manguel trae dalle sue sterminate letture una serie di citazioni, di aneddoti curiosi, di fatti rilevanti, e li ricompone poi in un grande mosaico che potrebbe crescere all’infinito e che lo aiutano a rinarrare la propria vita, a ricostruire via via la propria identità.

Per questo, si diceva, vuotare gli scaffali della sua biblioteca, impacchettare i suoi libri, è un’esperienza traumatica. Gli viene spontaneo il ricordo del celebre saggio di Walter Benjamin, Tolgo la mia biblioteca dalle casse. Discorso sul collezionismo, un saggio che si colloca in un momento difficile della vita (il divorzio, la mancanza di un lavoro e di una casa) e diventa l’occasione per rievocare le memorie personali che si intrecciano con la passione collezionistica e per riflettere sulla dialettica fra ordine e disordine che tale passione comporta. Proprio perché il rapporto con i libri è per Manguel così vitale, quasi una componente dell’eros, abbandonare la propria biblioteca è un’esperienza vicina alla morte: «i libri hanno sempre conversato con me… e i volumi, come oggetti materiali, sono stati per me qualcosa di molto simile a creature viventi con cui condividevo il letto e la tavola»; «se ogni biblioteca è autobiografica, imballarla è un po’ come redigere il necrologio di se stessi». Ma c’è uno degli eroi a lui più cari, Don Chisciotte, che lo aiuta a elaborare il lutto, in particolare il momento in cui Don Chisciotte si trova senza i suoi libri, che il parroco e il barbiere hanno bruciato: «adesso che ho perso la mia biblioteca penso di essere in grado di capire meglio che cosa ha passato e per quale motivo ripartì per il vasto mondo. La perdita favorisce il ricordo. La perdita di una biblioteca aiuta a ricordare chi siamo veramente». E capita poi che la perdita, e l’ingiustizia cui è legata, siano in un certo senso risarcite. Nel novembre 2015 Manguel viene chiamato a dirigere la Biblioteca Nacional di Buenos Aires, la stessa carica che nel 1955 era stata affidata a Borges, il quale diceva che Dio gli aveva dato insieme i volumi e la notte, poiché gli aveva messo a disposizione, potenzialmente, tutti i libri del mondo ma gli aveva tolto la vista. Così Manguel torna nella sua città natale, e la storia ricomincia.

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Articolo pubblicato su «La Domenica» del «Sole 24 Ore». Ringraziamo il giornale e l’autrice.

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Lina Bolzoni è docente di Letteratura italiana alla Scuola Normale Superiore, dove ha fondato il Centro per l’elaborazione informatica di parole e immagini nella tradizione letteraria.

Alberto Manguel

Vivere con i libri. Un'elegia e dieci digressioni


Frontiere, Einaudi 2018, pp. 128
Traduzione > Duccio Sacchi