Nel mio memoir racconto la storia dei miei due padri: quello che mi ha allevata, e quello che era assente. Questo mi ha aiutato a conciliare ciò che del mio passato conoscevo e ciò che mi era stato, fino ad allora, ignoto. Eppure, per me, al centro delle nostre storie ci fu sempre mia madre, la quale in sostanza plasmò la narrazione di tutta la nostra famiglia.
A ottantasei anni è esattamente come è sempre stata: piena d’amore, energia, generosità, e di risate fragorosissime. Guidò la sua (e la nostra) vita da una situazione precaria alla successiva, tenendo per sé le proprie paure. Una volta, quando le dissi di essere prudente se andava a passeggio con il cane in qualche zona remota, mi risposte: «Non si può vivere con la paura tutto il tempo».
Io sono quella parte della storia di mia madre in cui per un attimo si era allontanata da ciò che per lei contava davvero
L’amore e il coraggio sono stati sempre le forze trainanti nella vita di mia madre, che erditò questa capacità di condurre una vita appassionata dai propri genitori, il cui matrimonio fu tempestoso ed eccitante. In una società totalitaria la famiglia era un’oasi di libertà per i miei nonni. E al centro di quella libertà c’era l’impegno assoluto verso l’amore.
Io sono quella parte della storia di mia madre in cui per un attimo si era allontanata da ciò che per lei contava davvero. Non amava il mio padre biologico (benché lui fosse pazzo di lei) e, dopo essere diventata una giovane madre nubile, non lasciò passare troppo tempo prima di riconquistare l’indipendenza, col «pieno sostegno» dei propri genitori. L’amore della sua vita adesso era la bambina. Quando s’innamorò pazzamente di un uomo che fu subito disposta a sposare e a seguire in un altro paese, io ero parte integrante del loro cerchio magico, perché appartenevo a lei e di conseguenza, come entrambi mi ripetevano spesso, appartenevo anche a lui.
Crescendo osservai, spesso con meraviglia, come il loro matrimonio non smettesse mai di girare attorno a una dinamica drammatica di amore e discussioni impetuosi. Mai immobile, mai calmo, mai silente. Tutto quello che succedeva fra i miei veniva articolato punto per punto in un flusso costante di conversazioni accese, che in genere si risolvevano in grandi risate.
Forse fu proprio la profondità del loro legame che permise a entrambi di conservare il segreto della mia nascita così a lungo. Certamente il fatto di essere diventati di punto in bianco una giovane famiglia giocò un ruolo importante nella loro relazione; o forse fu il grande amore che nutrivano reciprocamente a permettere loro di includere me?
Ogni volta che, scrivendo il mio memoir, incontravo qualche scoglio emotivo, in genere era legato alle mie preoccupazione per le reazioni che avrebbe potuto avere mio padre. Mai invece mi preoccupai di come avrebbe reagito mia madre. Al contrario, essendo anche lei una scrittrice, ho sempre saputo che comprendeva il mio bisogno di raccontare la verità con libertà assoluta. «Qualsiasi cosa tu stia scrivendo, se non la racconti nel modo in cui vuoi che sia raccontata, sarà come non averla mai scritta,» mi disse una volta. Nel suo memoir mia madre evitò «gli spigoli» – la verità celata – della sua vita. Credo sia sollevata che io non abbia fatto la stessa cosa.
© 2016 Elena Lappin
Traduzione di Laura Noulian
Tutti gli scrittori espatriati hanno una storia da raccontare su come hanno trovato casa in una lingua straniera. Elena Lappin di «case», di lingue, ne ha dovute cambiare più di una: solo per scoprire che l’ultima, l’inglese, gli era molto più familiare di quanto potesse mai immaginare.