Narrativa straniera e Frontiere

Un decennio tumultuoso

E—G
Enrico Ganni 12 Aprile 2016 18 min

Cosa sono stati gli anni Settanta per la Germania e l'Europa? I dispacci di Hans Magnus Enzensberger da un decennio tumultuoso.

In Tumulto, Enzensberger parla, talvolta solo con un inciso, di episodi, persone, problematiche che, a distanza di mezzo secolo non sono forse immediatamente presenti al lettore italiano. Abbiamo quindi organizzato questo piccolo atlante, consapevolmente lacunoso, fatto di testo, collegamenti e immagini, alcune delle quali sono ormai parte imprescindibile della storia culturale del XX secolo.

Benno Ohnesorg

«Come a scuola, come all’università e come in ufficio, sono stato troppe volte assente. Durante la visita dello scià a Berlino, che ha dato inizio a tante cose, io ero seduto in una cucina a Mosca. Mi sono sempre perso gli scontri di piazza, o li ho dimenticati».

Hans Magnus Enzensberger, Tumulto, p. 99

A livello iconografico, oltre che politico, il ’68 in Germania iniziò con questa foto. Venne scattata il 2 giugno del 1967 quando lo Scià di Persia Reza Pahlavi, in visita ufficiale in Germania, arrivò a Berlino Ovest, accolto dagli studenti intenzionati a denunciare la feroce politica repressiva del regime iraniano. Quel giorno ebbero luogo due manifestazioni: la prima davanti al Schöneberger Rathaus (dove J.F. Kennedy, nel 1963, dichiarò «Ich bin ein Berliner») e la sera davanti alla Deutsche Oper. Fu soprattutto in questa seconda occasione che la polizia, coadiuvata da persiani favorevoli al regime, reagì con una vera e propria caccia all’uomo che culminò con l’assassinio, in un cortile appartato, del ventiseienne studente Benno Ohnesorg. A ucciderlo da distanza ravvicinata con un colpo alla nuca e senza alcuna necessità fu l’agente di polizia Karl-Heinz Kurras che nei successivi processi venne tuttavia scagionato da tutte le accuse. Oltre quarant’anni dopo, nel 2009, si venne a sapere che Kurras era un agente della Stasi; non emersero tuttavia mai prove che avesse sparato su incarico dei servizi di sicurezza della Germania orientale.

Nonostante il divieto di manifestare promulgato in città, il giorno successivo 6000 studenti si ritrovarono alla Freie Universität per discutere di quanto era accaduto; lo stesso avvenne anche in altre città tedesche, come ad esempio a Francoforte dove T. Wiesengrund Adorno, commentò i fatti con le parole: «Gli studenti hanno assunto un po’ il ruolo degli ebrei».

In Germania le acque non si sarebbero calmate per molto tempo: la visita dello scià aveva davvero «dato inizio a molte cose». Non tutte positive: a Berlino nel gennaio del 1972 si formò un gruppo terroristico denominato Bewegung 2. Juni (Movimento 2 giugno). La politicizzazione di molti giovani – dissero anni dopo due dei fondatori – era avvenuta in seguito «all’uccisione di Benno Ohnesorg. Dopo tutte quelle botte e manganellate avevamo l’impressione che gli sbirri avessero sparato a tutti. Contro le botte in qualche modo ti puoi difendere. Ma quando semplicemente ti accoppano, le cose cambiano». L’azione più eclatante del Movimento 2 giugno  fu il rapimento, nel 1975, dell’uomo politico democristiano Peter Lorenz, rilasciato dopo qualche giorno in seguito alla liberazione di alcuni militanti del movimento ma anche della Rote Armee Fraktion (vedi).

Benno Ohnesorg era amico d’infanzia e compagno di scuola dello scrittore Uwe Timm, il cui racconto «Der Freund und der Fremde» è incentrato sulla loro amicizia.

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Le leggi di emergenza

«Con la nascita di una Grande Coalizione, la situazione politica in Germania si era inasprita al punto che la repubblica era priva di una opposizione efficace. Insieme, i democristiani e i socialdemocratici avevano ideato le cosiddette leggi di emergenza, un’incredibile porcheria che noi non intendevamo accettare».

Hans Magnus Enzensberger, Tumulto, p. 76

Accanto alla guerra del Vietnam, furono soprattutto i Notstandsgesetze, le «leggi di emergenza», ad agitare l’opinione pubblica, o meglio una parte – grande? piccola? – dell’opinione pubblica tedesca. Per capire i motivi di questa mobilitazione è necessario ricordare quanto poco, dopo la fine della dittatura hitleriana, la società tedesca avesse fatto i conti con il suo recente passato. La famiglia, la scuola, l’università, la giustizia, insomma tutte le istituzioni portanti della società avevano sostanzialmente rimosso il nazionalsocialismo. Come poteva del resto un padre dire apertamente ai propri figli, o un insegnante ai propri studenti, nati magari nel 1950, 1951, 1952, cosa aveva fatto, cosa aveva visto in Russia? E nella pubblica amministrazione non si erano perfettamente inseriti alti esponenti del regime hitleriano? (Hans Globke ad esempio era stato fra gli estensori delle Leggi razziali di Norimberga, eppure fu il più stretto collaboratore del cancelliere Adenauer, mentre Reinhard Gehlen, tanto per citarne un altro, durante la guerra responsabile dei servizi segreti nazisti sul fronte orientale fu a capo dei servizi nella Germania occidentale sino alla fine degli anni Sessanta.) Le promesse e i risultati del «miracolo economico» erano stati barattati con una serie di tabù: dei campi di concentramento, delle stragi, raramente si parlava. Le cose cambiarono quando su iniziativa del procuratore Fritz Bauer e dopo molte resistenze, a Francoforte si aprirono vari processi finalmente non contro gli alti papaveri nazisti, ma contro la bassa manovalenza, contro i padri e gli insegnanti di cui si diceva (per chi vuol farsi un’idea: Il labirinto del silenzio).

In questo contesto storico, Adenauer cercò sin dal 1958 di introdurre delle leggi che consentissero di governare anche in situazioni di emergenza, come conflitti bellici, rivolte, catastrofi naturali. Non ebbe tuttavia mai la maggioranza dei due terzi necessaria per modificare la costituzione. Quando alla fine del 1966 nacque la prima Große Koalition, guidata da Kurt Georg Kiesinger (iscritto al partito nazionalsocialista sin dal 1933), con Willy Brandt (che invece era stato in esilio dal 1933) vicecancelliere e ministro degli esterni, i numeri invece ci furono. Un parlamento in cui era ormai stata cancellata ogni opposizione, si preparava ad approvare delle leggi considerate potenzialmente liberticide: Hitler non aveva forse definitivamente instaurato il suo regime proprio grazie agli Ermächtigungsgesetze nel 1933? Furono questi dubbi a indurre il potente sindacato dei metalmeccanici (IG Metall) a mobilitarsi e a organizzare il 30 ottobre 1966 la manifestazione a Francoforte nel corso della quale oltre a Enzensberger e agli esponenti sindacali prese la parola anche il filosofo Ernst Bloch. Le leggi furono poi approvate proprio nel maggio del 1968: a spingere il governo Kiesinger a farle passare in tutta fretta furono, tra l’altro, le manifestazioni in parte molto violente nei giorni immediatamente successivi all’attentato a Rudi Dutschke (vedi), gli incendi organizzati dal gruppo Baader-Meinhof (vedi) e la crescente mobilitazione contro la Guerra del Vietnam. Il governo Kiesinger ebbe peraltro vita breve: alle elezioni del 1969, il partito socialdemocratico guidato da Willy Brandt ottenne la maggioranza realativa dei seggi e si alleò con i liberali di Walter Scheel. Era l’inizio di un nuova fase nella vita politica tedesca.

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Rote Armee Fraktion

«Bene. Ma c’è qualcos’altro che vorrei chiederti. Che cosa puoi dirmi del tuo coinvolgimento nella RAF? Conoscevi Ulrike Meinhof, vero?»

Hans Magnus Enzensberger, Tumulto, p. 186

Nella notte del 2 aprile 1968, in due grandi magazzini nel centro di Francoforte esplodono ordigni incendiari. I danni materiali sono ingenti. Già il giorno successivo vengono arrestati gli esecutori Andreas Baader, Gudrun Ensslin, Horst Söhnlein e Thorwald Proll. Nel corso del processo dell’ottobre dello stesso anno diranno di avere appicato gli incendi per protestare «contro l’indifferenza verso la guerra del Vietnam». Verranno tutti condannati a tre anni di detenzione, ma essendo a piede libero in attesa dell’appello decidono di fuggire, rifugiandosi in Italia. Rientrato in Germania, Baader viene arrestato a Berlino nell’aprile del 1970. Il 14 maggio, scortato da due agenti, su richiesta del suo avvocato Horst Mahler, si trova nella biblioteca di un istituto di ricerca: ha appuntamento con la giornalista Ulrike Meinhof con la quale ha in mente di scrivere un libro. All’improvviso fanno irruzione alcune persone mascherate che aprono subito il fuoco, ferendo gravemente Georg Linke, un impiegato della biblioteca. Baader e i suoi complici fuggono da una finestra al piano terra, fuori c’è una macchina ad attenderli. E nel pomeriggio «improvvisamente comparvero a casa mia, a Friedenau», come racconta Enzensberger (vedi Tumulto, p. 187).

Quel giorno Ulrike Meinhof e Horst Mahler entrarono in clandestinità e tre giorni dopo venne pubblicato un comunicato che si apriva con lo slogan «DIE ROTE ARMEE AUFBAUEN!» («Costruire l’Armata rossa!»). Era la nascita del più importante gruppo terroristico tedesco. Formalmente rimase in vita sino al 1998.

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Dopo una serie di attentati, i principali dirigenti furono arrestati nella primavera del 1972, e nel 1977 condannati all’ergastolo per omicidio. Proprio in quell’anno, la seconda generazione di militanti avviò un’offensiva su larga scala durante la quale vennero rapiti e/o uccisi (oltre alle scorte) il procuratore generale federale Siegfried Buback (aprile), l’amministratore delegato della Dresdner Bank Jürgen Ponto (luglio) e infine, in settembre, il presidente della confindustria tedesca Hanns Martin Schleyer. Fallito il tentativo di liberare i compagni in cambio del rilascio di quest’ultimo, il 18 ottobre Andreas Baader, Gudrun Ensslin e Jan-Carl Raspe si uccisero nel carcere di Stammheim con le pistole fornite loro dagli avvocati (Irmgard Möller tentò il suicidio ma sopravvisse, Ingrid Schubert, una militante della prima ora, si suicidò a Monaco, Ulrike Meinhof si era impiccata in cella un anno prima). Hanns Martin Schleyer venne ucciso quello stesso giorno.

Era l’Autunno tedesco.

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Rudi Dutschke

«Rudi era una personalità non soltanto molto tedesca, ma anche impensabile per la parte occidentale del paese. Era d’altra parte l’unico leader politico prodotto dall’opposizione al sistema. Diligente e imperturbabile, gli mancava quel cinismo senza cui né un Trockij né un Lenin avrebbero raggiunto i propri obiettivi».

Hans Magnus Enzensberger, Tumulto, p. 122

Il treno proveniente da Monaco arriva a Berlino, Bahnhof Zoo, alle 9 ottobre dell’11 aprile 1968. Fra i passeggeri il ventiquatrenne Josef Bachmann che ha con sé due pistole. Dopo alcune tappe in varie zone della città, verso le 16.30, Bachmann raggiunge il Kurfürstendamm, dove al numero 140 ha sede il Sozialistische Deutsche Studentenbund, la Lega tedesca degli studenti socialisti. Sta cercando Rudi Dutschke, all’epoca la personalità più in vista dell’organizzazione. Lo vede uscire dal portone e percorrere in bicicletta un centinaio di metri. Quando si ferma davanti a una farmacia, Bachmann si avvicina e spara un primo colpo, seguito – con Dutschke già a terra – da altri due. Vanno tutti a segno: due raggiungono la testa, uno la spalla.

Verso le 17.00 la notizia viene diffusa dalla tutte le stazioni radio. Per una settimana la Germania occidentale assiste a un’ondata di inaudita (ma giustificata) violenza, indirizzata soprattutto contro i giornali del Gruppo Springer, in primis la famigerata «Bild Zeitung».

Nato nel 1940, Rudi Dutschke pur vivendo nella Rdt, dal 1961 studiava alla Freie Universität di Berlino Ovest: all’est non aveva potuto immatricolarsi per motivi politici. La costruzione del Muro gli impedì da un giorno all’altro di tornare a casa. Nel 1965 si iscrisse al citato Sozialistischer Deutscher Studentenbund, che, nato come costola giovanile del partito socialdemocratico, da qualche anno si era era schierato su posizioni più a sinistra della socialdemocrazia. Dutschke ne divenne ben presto il leader carismatico, assurgendo – per il suo impegno contro la guerra del Vietnam (i legami fra Germania occidentale e Stati Uniti all’epoca era strettissimi), contro i Notstandgesetze (vedi Le leggi di emergenza), contro il regime dei collonnelli in Grecia, contro la scarsa rielaborazione del passato nazionalsocialista – al poco invidiabile ruolo di «Nemico Nr. 1 della Germania». Negli attacchi a lui in particolare e al movimento studentesco nel suo complesso, si distingueva soprattutto la «Bild Zeitung» che neanche troppo velatamente invitava i suoi lettori a fare in modo che quelle teste calde venissero messe in condizione di non nuocere. L’11 aprile Josef Bachmann, un operaio non specializzato politicamente su posizioni di estrema destra, pensò bene di dare concretamente seguito a quell’auspicio. Dopo l’uccisione di Benno Ohnesorg, l’attentato a Dutschke fu una sorta di sparticacque: una parte, minoritaria, del movimento decise infatti che con quella Germania non era più possibile dialogare: si aprì l’epoca del terrorismo (vedi Rote Armee Fraktion).

Sebbene gravemente ferito, Dutschke sopravvisse all’attentato. Dopo un lunghissimo periodo di convalescenza durante il quale dovette fra l’altro imparare nuovamente a parlare, riprese gli studi, si laureò nel 1973 e divenne quindi professore di sociologia ad Aarhus, in Danimarca. Morì il 24 dicembre 1979 per un attacco epilettico, conseguenza delle ferite riportate.

Josef Bachmann «fu condannato a sette anni di carcere per tentato omicidio» e nel 1970 «in cella si soffocò con una sacchetto di plastica» (vedi Tumulto, p. 216).


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Kommune 1

«L’anno 1967 cominciò con una piccola, ma notevole invenzione. Il 1º gennaio, senza essere inserita nel registro delle associazioni, venne fondata la Kommune 1. Il nome, a quanto pare, si deve a Rudi Dutschke, che però non vi si trasferì mai».

Hans Magnus Enzensberger, Tumulto, p. 88

Durò circa due anni, la Kommune 1, dal 1 gennaio 1967 al novembre del 1969. Costola del movimento studentesco – da lì venivano i fondatori – si proponeva di costruire un modello di vita alternativo alla famiglia chiusa che con i suoi meccanismi repressivi costituiva il nucleo primario di una lunga serie di istituzioni altrettanto repressive. Rivoluzionando la vita di tutti i giorni sarebbero saltate le forme di vita borghesi, sperimentati comportamenti alternativi e la Kommune 1 sarebbe diventata il primo nucleo che avrebbe portato a un rovesciamento sovversivo della società. Sono sette i primi membri: Dieter Kunzelmann (che si può considerare l’iniziatore e che si ispira alle esperienze situazioniste), Volker Gebbert, Gertrud Hemmer, Dorothea Seehuber oltre a Ulrich Enzensberger e a Dagrun, (ex) moglie di Hans Magnus Enzensberger. Ai quali si aggiunsero poi Fritz Teufel e Rainer Langhans, che divennero ben presto i volti più noti della Kommune.

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La prima azione fu il famoso «attentato del budino» contro il vicepresidente americano Hubert Humphry, ai primi di aprile 1967: i membri della Kommune, già infiltrata dai servizi segreti, vennero arrestati la vigilia della visita e durante le manifestazioni le uniche «armi» furono il budino, la farina e la vernice gettati dai manifestanti (senza ovviamente colpire Humphry). Il che non impedì alla venerabile «Zeit» di parlare di «Undici piccoli Oswald», alla Bild Zeitung di un «attentato dinamitardo», mentre la Berliner Morgenpost (sempre del Gruppo Springer) sapeva con certezza che gli «studenti della Freie Universität» avevano preparato bombe usando «esplosivo fornito da Pechino». Una figuraccia, tanto per la polizia quanto per la stampa (vedi Tumulto, p. 97).

Il confine fra provocazione gestita e magari di cattivo gusto, e provocazione non più gestibile è tuttavia sottile: quando nel maggio di quell’anno a Bruxelles si incendiò (per cause mai definitivamente chiarite, anche se nei primi giorni si pensò a un attentato terroristico) il grande magazzino À l’innovation, provocando la morte di più di trecento persone, la Kommune collegò l’azione all’opposizione alla Guerra del Vietnam e alla lotta contro il consumismo, espresse ammirazione per «un gesto coraggioso e anticonvenzionale» e si chiese quando finalmente anche in Germania si sarebbe assistito a qualcosa di simile. Furono accontentati nemmeno un anno più tardi (vedi: Rote Armee Fraktion).

Le attività di Teufel, Langhans & C., sempre meno controllabili e viste con crescente sospetto, portarono infine alla rottura con l’SDS e la sinistra extraparlamentare; ma la Kommune divenne comunque una specie di mito, un punto di riferimento (e di accoglienza) per dropout di ogni sorta, vezzeggiata anche all’estero – fra i visitatori Jimi Hendrix – e molto ricercata dai mass media: via via sempre più consapevoli del loro appeal, i comunardi non ebbero ovviamente scrupoli a battere cassa presso la stampa borghese e a organizzare un vero e proprio merchandising del loro marchio. «Erst blechen, dann sprechen» (Prima voi pagate, poi noi parliamo), era lo slogan che campeggiava in uno degli appartamenti della Kommune.

Alla fine del 1969 era tutto finito: era cambiato il clima politico, avevano fatto capolino la droga e il terrorismo (Fritz Teufel divenne membro della Bewegung 2. Juni). Nel novembre 1969 l’ultima sede venne assaltata e devastata da un gruppo di rocker.