A Torino lo scorso 13 dicembre Giovanna Scocchera ha ricevuto il prestigioso Premio Nini Agosti Castellani per la sua traduzione dello Sport dei Re di C.E. Morgan. Il premio, giunto alla settima edizione, è stato istituito da Paola e Aldo Agosti, in memoria della madre Maria Luisa, detta Nini, la nota traduttrice scomparsa nel 2005. Riproponiamo qui un estratto del discorso tenuto dalla vincitrice in occasione della cerimonia di premiazione.
Le tante metafore del tradurre sottolineano e legittimano l’impossibilità di una definizione univoca, scientifica. Persino la disciplina dei Translation Studies è costretta a ricorrere alla pluralità per descrivere il proprio ambito di ricerca, una ricerca che è per necessità interdisciplinare, quasi tentacolare, perché molteplici sono i suoi oggetti di studio.
Potremmo dire che tradurre è trasferire, trasportare “qualcosa” da una lingua a un’altra, laddove il qualcosa non è un’entità monolitica e sempre uguale a se stessa, bensì un insieme proteiforme e mutevole di corpi vivi – le parole e il loro modo di comporsi – la cui identità e valenza cambia inevitabilmente già prima che il trasferimento abbia inizio, a seconda che il traduttore/trasportatore ne colga o meno il peso, la fragilità, l’urgenza.
Tradurre è dire “quasi” la stessa cosa: in questa approssimazione si è giocato nei secoli il destino più o meno felice della traduzione e dell’immaginario che porta con sé, un fardello di binomi in cui si contrappongono bellezza e infedeltà, bruttezza e rigore, qualità troppo esclusive per essere vere. La relatività di quel “quasi” impedisce alla traduzione di assurgere a scienza esatta – e meno male, direi – perché sfuggendo alle leggi naturali di nascita, crescita e morte, ogni testo può riprendere vita più e più volte per mano di traduttori diversi e in epoche diverse.
Forse posso dirvi con maggiore certezza cosa è la traduzione per me: una conciliazione di opposti, l’unica attività che mi permette di coniugare curiosità e pigrizia. Questo apparente ossimoro – perché sembra impossibile essere curiosi del mondo senza mai allontanarsi da casa, o quasi – trova una sintesi perfetta nella mia esperienza di traduzione. Negli ultimi vent’anni, tradurre mi ha permesso di viaggiare in quasi ogni luogo della Terra, di incontrare decine di personaggi fittizi e reali, persino di parlare con alcuni di loro, quando si trattava di autori viventi. Mi ha permesso di affacciarmi su ciò che non conosco, ma senza mai perdere la consapevolezza di dove sono e di chi sono, nell’imprescindibile coerenza e autenticità delle mie scelte linguistiche.
Tradurre è una stanza tutta per me anche se, per esigenze familiari, la stanza fisica fatta di pareti si è ridotta nel tempo fino a non esistere più, tramutandosi in luogo della mente e dell’anima. Ma nonostante fuori tutto continui ancora a cambiare, questo spazio interno ha resistito con tenacia, diventando una stanza interiore a pareti insonorizzate, capaci di escludere ciò che è all’esterno per farmi sentire solo i suoni e le voci che riecheggiano dalle pagine di un libro.
Vorrei infine dirvi cosa è stata per me questa traduzione: certamente una sfida, sotto tanti punti di vista. Innanzitutto per la mole: mi è venuto spontaneo chiedermi, all’inizio, come avrei resistito per tutto il tempo necessario a completare il lavoro, temendo addirittura di annoiarmi. Il testo non me lo ha permesso, mi ha posto, anzi, di fronte all’abisso della mia ignoranza, sollecitando una continua sete di conoscenza. Non sapevo nulla – e continuo a non sapere granché – in materia di anatomia equina, corse dei cavalli, teorie dell’evoluzione, genetica e geologia, ma questo romanzo, obbligandomi al lusso della lentezza, a ritmi lavorativi a cui non ero abituata ma che mi sono goduta fino all’ultimo secondo, ha preteso che acquisissi nozioni e conoscenze enciclopediche, linguistiche e non. Purtroppo, come spesso accade, sono riuscita a trattenerle solo per il tempo della traduzione, e ora sono già pressoché dimenticate. O forse no. Forse ciò che si impara con e da una traduzione non viene mai dimenticato del tutto: si sedimenta, va ad alimentare il deposito alluvionale della lingua e della memoria che giace, addormentato, come stratificazioni di una roccia antica, per poi risvegliarsi e affiorare quando necessario. Questa metafora non è casuale: Lo sport dei re mi sembra infatti un perfetto esempio di geologia letteraria. La trama del testo, nella sua ricchezza tematica, lessicale e stilistica si dispone come tante stratificazioni rocciose da cui è possibile leggere la storia che le ha generate, gli elementi umani e non che ne sono stati protagonisti. In questo attraversare tempo e spazio, il romanzo racconta la Storia e le storie, ma non solo nel susseguirsi degli eventi, bensì in un minuzioso diario di passioni e desideri potenti, che hanno la stessa forza dei fenomeni naturali descritti tra le pagine: fiumi impetuosi, temporali imminenti, albe e tramonti in technicolor, ma anche la nascita di un puledro, un galoppo sfrenato verso il traguardo, l’unione di due amanti.
Il desiderio, nelle sue molteplici forme, è un tema ricorrente di questo romanzo: il desiderio di rivalsa sul passato e i suoi fantasmi, il desiderio di vendetta per una condizione ingiustamente subita, il desiderio di affermare la propria identità, di possedere qualcuno o qualcosa, il desiderio di sostituirsi a Dio.
Anche la scrittura della Morgan è percorsa dal desiderio: l’autrice non si accontenta mai, non cede al facile richiamo della parola più usata, dell’immagine nota, del suono più amabile. Nella sua costante ricerca per superare i propri confini linguistici e scendere quanto più profondamente nelle pieghe dei sentimenti e delle passioni umane, questo libro mi ha costretto a fare altrettanto: a non accontentarmi mai, a forzare la mia lingua e scardinare le mie abitudini con le parole, a immaginare, creare, osare.
Giovanna Scocchera è nata e vive ad Ancona. Per Einaudi ha tradotto, tra gli altri, Richard Mason (Le stanze illuminate, Alla ricerca del piacere) e C.E. Morgan (Tutti i viventi, Lo sport dei re).
C. E. Morgan
Lo sport dei re