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Cos’è la Ñamerica? Intervista a Martín Caparrós

G—P
Giulia Priore 1 Dicembre 2022 4 min

La domanda è semplice ma la risposta a cosa sia la Ñamerica, quel territorio compreso nell'America latina ma che corrisponde alle zone ispanofone, è complessa e intrigante. Ecco quindi cosa ne pensa Martín Caparrós nel suo libro che s'intitola appunto «Ñamerica».

«Dovremmo esserlo e non sta succedendo: siamo la sconfitta di noi stessi». Questi versi si riferiscono al territorio latinoamericano. Cosa significa quindi Ñamerica? Perché la sua natura è così sfuggente? Può definirla in tre aggettivi?

Mi riferisco a quell’obbligo che sentiamo tutti secondo il quale dovremmo essere uniti, unirci per essere migliori, e non lo facciamo. Le nostre élite hanno passato due secoli, dall’Indipendenza, a costruire la disunione, vale a dire: armare paesi che non erano armati, convincere milioni di persone che chi vive dall’altra parte del fiume è il loro nemico o, almeno , il diverso. Lo hanno fatto per consolidare i loro poteri su determinati territori e ha funzionato molto bene: ci hanno convinto che questi paesi fossero unità ontologiche, essenziali, strutture eterne che definiscono le nostre vite – quando due secoli fa non esistevano nemmeno. Ma, nonostante i loro sforzi, noi americani ci capiamo, ci parliamo, ci cerchiamo anche. Ci siamo formati nel mix; forse è il momento per mischiarci di nuovo per formare qualcosa di nuovo. In tre aggettivi Ñamerica è: mista, incazzata, speranzosa.

 

In uno degli ultimi capitoli del libro, quello in cui immagina il mondo che verrà, lei dice che la cosa più comune in Ñamerica al momento, dal punto di vista sociale e politico, sono le esplosioni intese come eventi imprevedibili e deflagranti. Cosa intende esattamente e pensa che questo modello possa essere esportabile anche in un continente pigro e sonnacchioso come l’Europa?

Spero di no: queste “esplosioni” sono il modo in cui il malessere sociale si manifesta ma non riesce a creare nulla. Nelle nostre società molte persone vivono male, soffrono. Lo sopportano, litigano, finché un giorno escono per le strade e lo esprimono come possono. Ma, poiché non esiste un progetto che offra loro una via d’uscita, quell’energia sociale si disperde in quello sfogo; non costruisce, si perde. Questo è ciò che ha cominciato a cambiare in Cile, con la formazione di un nuovo movimento nato nelle strade e con l’elezione, finalmente, di Gabriel Boric, un uomo che non proviene da nessuna delle strutture tradizionali: né l’esercito né dei vecchi sindacati o dei vecchi partiti. Spero ci siano altri esempi come questo.

Rispetto alle recenti elezioni in Brasile (territorio che non appartiene alla Ñamerica) cosa ne pensa? Come si relazionano e come convivono i paesi lusofoni e ispanofoni?

Si relazionano pochissimo: in genere si voltano le spalle. Sorprende, davvero, la scarsità di contatti e di interesse. I brasiliani in generale non si considerano “latinoamericani”. Pensano diversamente, sicuramente lo sono. Ho deciso di non menzionare il Brasile nel mio libro perché ha una storia, una cultura, proporzioni geografiche, demografiche ed economiche totalmente diverse rispetto ai paesi di lingua spagnola. Le sue ultime elezioni sono state un disperato tentativo di sopravvivenza: di fronte a un fascista impazzito, molte persone che avrebbero preferito non votare Lula lo hanno votato come manovra difensiva. Eppure metà della popolazione voleva eleggere Bolsonaro. Si tratta decisamente di un paese in difficoltà. Ma ancora una volta: nel resto dell’America Latina, in America, ci sono dittatori e truffatori al potere, ma nessuno si avvicina neanche lontanamente a questo pericolosissimo esemplare.

Martín Caparrós

Ñamerica


Passaggi, pp. 728