Leggere il presente

Un po’ di ascetismo di fronte alle polpette?

G—P
Angelica Taglia 21 Marzo 2022 4 min

L’epicureismo ha ancora qualcosa da dirci sul tema del piacere? La Vela di John Sellars sull’epicureismo contiene numerosi spunti per rispondere a questa domanda. Angelica Taglia, la traduttrice del libro, ne suggerisce alcuni partendo da un’osservazione di Steven Poole sul presente.

A settembre 2021 «Internazionale» ha riproposto online un articolo del 2012 di Steven Poole, La dittatura della polpetta. È una riflessione molto interessante, oltre che divertente, sull’importanza del cibo ai nostri giorni, un’importanza diventata quasi predominante. «La civiltà occidentale sta mangiando fino a rimbecillirsi» afferma Poole. Mezzi di comunicazione e social network sono stati travolti «da questa insaziabile ricerca dei piaceri della gola, da quest’orda di adoratori del cibo». Viviamo, osserva, nell’età del cibo.

Il cibo oggi è molto più che soddisfazione di un bisogno primario, è cultura e visione di vita, ed è, naturalmente, un piacere.

In quel periodo avevo appena concluso la traduzione di Sette lezioni sull’epicureismo di John Sellars e il collegamento è stato immediato. I moderni appassionati di cibo si pongono sulla scia di Epicuro? Come si comportava verso il buon cibo e il vino Epicuro, quel filosofo il cui nome nel tempo ha finito per essere associato proprio al godimento di simili piaceri? Sellars scrive: 

«Epicuro conduceva una vita molto sobria, pago di pane e acqua, con l’aggiunta di un po’ di formaggio come un lusso occasionale».

Epicuro così moderato? Ma Epicuro non era un edonista? L’epicureismo, che considera il piacere «la chiave per una vita buona» e che si spinge a definirlo principio e fine di tutto ciò che facciamo, è quindi una filosofia che limita drasticamente il piacere fino a rasentare l’ascetismo? In effetti, Epicuro avrebbe suggerito che dalla moderazione, se non dall’ascetismo, avremmo qualcosa da imparare proprio in vista del godimento del piacere. 

Una chiave per comprendere questa apparente contraddizione sta nel significato che Epicuro dà al piacere. Egli distingue, spiega Sellars, tra diversi tipi di piacere. In particolare «potremmo distinguere tra il piacere attivo di mangiare e il conseguente piacere statico di essere sazi e non più affamati. Benché possiamo godere del processo di mangiare… la ragione per cui mangiamo è raggiungere lo stato di non avere fame… superare il dolore della fame». Il fine, quindi, è il piacere inteso come uno stato di appagamento legato all’assenza del dolore. Questo pone un chiaro limite al perseguimento del piacere. Proprio del cibo Sellars scrive: «si può sempre mangiare di piú e ancora di piú. Ma lo stato di appagamento che si raggiunge quando uno è sazio e non piú affamato non può affatto variare. Quando uno è sazio, è sazio, e se continua a mangiare … probabilmente finirà con una indigestione, che genera dolore piuttosto che ulteriore piacere». 

Ancora più interessanti sono alcune considerazioni evidenziate da Sellars sui nostri desideri. Il desiderio di buon cibo e buon vino, anche se naturale, non risponde a una necessità; per questa bastano pane e acqua. Tuttavia, è «molto facile farsi prendere da tutti questi desideri naturali ma non necessari», abituandosi a godere di alimenti vari e stimolanti e sentendone la mancanza quando vengono a mancare. La soluzione epicurea, però, secondo Sellars non è rinunciarvi del tutto. La via epicurea passa, piuttosto, per il «non esagerare anche quando avremmo l’opportunità di farlo. Ne risulta che in realtà un po’ di ascetismo potrebbe essere opportuno. Questo non significa suggerire che dovremmo sempre negarci dei piaceri. Piuttosto, ci incoraggia a moderare i nostri consumi cosí da apprezzare adeguatamente i piaceri non necessari quando ce li concediamo. Il problema non sta nel godimento, sta nel dare le cose per scontate». 

Una strada interessante non solo per il cibo, ma in generale per i nostri consumi.

John Sellars

Sette brevi lezioni sull'epicureismo


Vele, pp. 104