Narrativa straniera e Frontiere

Dimentica la fiaba

C—D
Claudia Durastanti 24 Marzo 2016 9 min

La magia e la storia, l'identità e il cambiamento: da Boy, Snow, Bird a Beyoncé, un articolo di Claudia Durastanti.

Ogni anno, la Literary Review assegna un Bad Sex in Fiction Award, un premio che alimenta e conferma il sospetto che per uno scrittore non ci sia nulla di più arduo che scrivere di sesso.

Avessi la facoltà di assegnare premi simili, lo farei in nome della categoria che mi terrorizza per davvero: la magia.

Dopo aver letto Cent’anni di solitudine al liceo, ho intrapreso quel percorso per nulla originale di allontanamento dal realismo magico: quasi sempre se si trattava di autori sudamericani, preservando una forma di rispetto per quello mitteleuropeo e senza mai mettere in discussione Buzzati. I russi, dal canto loro, avevano licenza di fare quello che volevano.

Probabilmente ogni scrittore nutre sospetti verso una materia che non riesce a gestire e lo espone a una prossimità con il ridicolo e il soprannaturale: mettere distanza tra me e le terre in cui le lacrime delle donne diventano fiori e i cuori palpitano fino a trasmutarsi in uccelli, era una forma di rassicurazione ideologica che non aveva nulla a che fare con il motivo per cui poi leggevo libri, e cioè il desiderio – quasi aggressivo – di farmi incantare.

Ti arrendi

Ho avuto difficoltà anche con la letteratura ispirata alle fiabe: quando era troppo intelligente, mi faceva pensare a Propp e ai problemi del contemporaneo; quando era troppo ingenua e prevedibile mi faceva venire voglia di leggere, appunto, una fiaba.

Quando ripenso al mio rifiuto nei confronti del realismo magico, mi rendo conto di quanto le mie richieste nei confronti di quei libri fossero ambigue: volevo il sortilegio, ma solo se non veniva identificato come tale, e la magia doveva scaturire da una frizione elettrostatica di parole e sentimenti, non dalle inclinazioni di un personaggio.

Il rischio era quello di popolare la letteratura di figure un po’ bizzarre ma bidimensionali, che una volta levitate in cielo lasciavano un retrogusto di sciroppo; personaggi che ricorderesti nello stesso modo in cui una persona insignificante ti resta impressa per un tatuaggio.

Ma cosa succede quando ti imbatti in un libro che chiama la magia per nome, adotta una fiaba come riferimento e non fa sentire il peso dell’artificio nonostante tutte le sue giravolte improbabili? Che ti arrendi.

Boy, Snow, Bird di Helen Oyeyemi è un libro molto bello che poteva prendere strade molto sbagliate. Mette insieme identità, genere e razza, ma invece di diventare una fiaba moralizzante, si dispiega con una disinvoltura che lo spinge verso i mondi sotterranei di Alice, e un equilibrio che invece lo posiziona nella società di tensioni razziali tratteggiata con consapevolezza e grazia da Harper Lee.

È uno di quei dettagli per cui ci si innamora di un libro: perché ricorda Salinger, probabilmente

Il romanzo parla di una ragazza nata nel Lower East Side nei primi anni Trenta, Boy, che scappa di casa per allontanarsi da un padre che di mestiere ammazza i ratti e tende agli abusi fisici. Boy arriva in una cittadina americana che ricorda le stazioni di posta nei film western, portandosi dietro la bandiera a stelle e strisce che Charlie Vacic le ha posato sulle spalle durante i fuochi artificiali del quattro luglio a Herald Square. (È uno di quei dettagli per cui ci si innamora di un libro: perché ricorda Salinger, probabilmente).

Qui la protagonista conosce ragazze impegnate a farsi regalare un anello o a fare carriera con la scrittura, inizia a lavorare in una libreria e si sposa con un uomo non è sicura le piaccia molto. Prima di diventare la madre di Bird – una bambina che nasce nera – si ritrova a essere la madrina di Snow, una bambina che incanta tutti e invece è bianca e proprio per questo verrà allontanata da casa.

In questa mistica del diventare ragazze e poi donne, un processo di addestramento legato agli specchi, tra matrigne e superfici riflettenti non è difficile capire di quale fiaba si parli, ma mentirei se dicessi che leggendo il libro di Oyeyemi ho pensato a Biancaneve.

In realtà, ho pensato a Beyoncé e Caitlyn Jenner

In realtà, ho pensato a Beyoncé e Caitlyn Jenner: e la bravura della scrittrice non sta nell’aver reinventato una favola, ma nell’avermela fatta appunto dimenticare, facendomi scoprire quel tipo di storia per la prima volta.

Il 2015 passerà alla cronaca come l’anno in cui tra il successo confermato di Transparent e il racconto in televisione della transition di Bruce Jenner – ex atleta olimpionico e patrigno delle sorelle Kardashian – in Caitlyn, la ridefinizione del proprio genere e la reinvenzione di se sono diventati temi da prima serata.

I primi mesi del 2016, invece, verranno ricordati come quelli gli americani hanno capito che Beyoncé è nera (al riguardo c’è uno sketch andato in onda sul Saturday Night Live in cui le masse impazziscono e temono l’apocalisse perché nel video di Formation la cantante si riappropria della propria negritudine). Tra la rivendicazione delle proprie origini nel Sud dal passato schiavista e il riferimento ai fatti di Ferguson e Baltimora, a un certo punto Beyoncé fa apparire la figlia e canta: I like my baby heir with baby hair and afros.

Beyoncé e la figlia sono ovviamente nere. Perché sentirglielo dire provoca nel pubblico un disorientamento simile a quello di Boy quando scopre che la famiglia del marito ha dei geni afroamericani diluiti e “sbiancati” attraverso l’allontanamento dei membri che non si conformano alla versione ufficiale che quella famiglia ha scelto per se?

È su questo disorientamento, sulla sua tensione costante, che si gioca tutto il romanzo. Eppure, allo stesso tempo, Oyeyemi ha fatto in modo di non preoccuparsene troppo.

Quando Bird cresce, sviluppa nei confronti della propria razza e della sorellastra bianca un atteggiamento a volte malinconico, ma soprattutto curioso e aperto alle possibilità, e il suo disagio si sovrappone a quello di un’adolescente innamorata, che cerca di appropriarsi del proprio corpo la cui stranezza e meraviglia prescinde la genetica.

Il 2016 è anche l’anno in cui è venuta la cellulite a Barbie. La Mattel, come la Disney per altri aspetti, cerca di sopravvivere alla competizione aggiornando il proprio catalogo in base a quello che oggi ritiene socialmente desiderabile oltre che politicamente corretto.

Ma questa rilettura del corpo e degli specchi in cui si riflettono le bambine mentre crescono, non fa altro che rinnovare l’ossessione del corpo, ed è difficile considerarla una forma di emancipazione: quello delle nuove Barbie sarà un corpo più realistico, ma è comunque un invito a restare ancorati a questa dimensione del dibattito.

Per questo Boy, Snow, Bird è un libro che fa bene oltre a essere bello: perché la domanda che lo attraversa – questo Chi sono io? implicitamente pronunciato da ogni personaggio – può essere confusa e arrabbiata e condurre a scelte estreme, ma fa parte di un processo di esplorazione che riguarda ognuno di noi, e che non può essere disciplinato solo da argomentazioni sociopolitiche; ci vogliono anche letture più eteree e simboliche per sentirci meno soli e allo stesso tempo speciali nei nostri passaggi di stato.

Di recente mi hanno chiesto quale personaggio letterario ricorderò di questi anni: Boy è sicuramente uno di questi

Crescendo, ho letto molti saggi che mi hanno spinta a riflettere sul mio corpo politico, bianco e deformato dagli specchi, ma raramente un romanzo che mi facesse sentire consapevole di questi aspetti alleviandomi dalle loro contraddizioni. Alludere a questi cambiamenti facendone una questione di magia senza negare la nostra dimensione storica e reale, fa sì che io sia di nuovo interessata a quello che può fare un certo tipo di letteratura.

Di recente mi hanno chiesto quale personaggio letterario ricorderò di questi anni, e Boy è sicuramente uno di questi. Se ci penso, ho letto la sua storia come leggevo i romanzi prima di perdere interesse nel realismo magico: quando tutto quello che stava sulla pagina mi sembrava ambiguo e sempre possibile.

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Claudia Durastanti è una scrittrice e traduttrice. È nata a Brooklyn nel 1984 e attualmente vive a Londra. Ha pubblicato i romanzi A Chloe, per le ragioni sbagliate (Marsilio 2013) e Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra (Marsilio 2010, Premio Mondello Giovani e Premio Castiglioncello Opera Prima). Un suo racconto, Cleopatra va in prigione, è apparso nell’antologia L’età della febbre (Minimum fax 2015). Twitter: @CDurastanti.

Una biancaneve nera

Helen Oyeyemi impasta con il lievito delle fiabe la nuova letteratura africana, quella di chi si è allontanato dall’Africa. Da Cole a Adichie e ora Oyeyemi, è la generazione che sta rifondando il racconto di un continente.

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